Quel che resta di Istanbul: il miracolo è il lavoro di Inzaghi e Marotta

Quel che resta di Istanbul: il miracolo è il lavoro di Inzaghi e MarottaTUTTOmercatoWEB.com
lunedì 12 giugno 2023, 23:02Editoriale
di Tancredi Palmeri

Nella notte rarefatta attorno all’Ataturk Stadium, con la spianata buia all’esterno che inghiotte le illusioni degli interisti che lasciano lo stadio, l’amarezza che pervade l’aria nerazzurra è quasi palpabile.

E’ ovvio l’orgoglio, che incredibilmente ha fatta cantare i tifosi anche dopo una finale persa per tanto tempo, ma è ancora più grande la consapevolezza di una missione impossibile che è stata davvero a un passo dalla realtà.

Perché hai l’orgoglio di essertela giocata alla pari con la squadra più forte e più ricca al mondo. Anzi, più che alla pari, anche meglio, se è vero che l’Inter ha avuto 8 occasioni contro le 6 del Manchester City, e addirittura il doppio degli xG.

Ma proprio per questo il sapore amaro dell’aria è più avvilente: perché se avesse perso netto l’Inter in fondo non avrebbe potuto fare altro che rassegnarsi all’inferiorità tecnica e non darsi pensieri.

Invece ha fatto una partita perfetta tatticamente che ha inaridito ogni fonte di gioco della batteria dei trequartisti, suturato ogni spazio senza nemmeno chiudersi sul proprio limite dell’area, e infine guadagnato campo progressivamente fino a creare occasioni su occasioni e impaurire il City.

Il tutto in un sacrificio ammirevole collettivo, con una difesa davvero che ha sfiorato la perfezione.

Per questo brucia ancora di più: perché l’Inter perde meritatamente per la paura di volare: le occasioni sbagliate sono per braccino, anzi gambina, cioè per vacillare eccessivamente nel momento in cui bisogna essere freddi. Ed è inutile andare a prendere gli errori dei singoli attaccanti, perché si vince e si perde di squadra.

Fossero stati gli altri più forti e basta, ti saresti messo l’animo in pace.

Ma invece sei tu che sei stato quasi perfetto, tranne in quell’aspetto del non pensare troppo quando c’è da eseguire. Comunque un errore tuo, perché in fondo la sfortuna nel calcio non esiste.

E i due responsabili principali di questo capolavoro sono due.

Simone Inzaghi era l’unico a credere che fosse possibile questa Champions, e questa partita. Tutti o quasi dubitavano, e lui non li ha solo smentiti ma li ha portati dalla propria parte. 

Il lavoro di Simone Inzaghi quest’anno vuol dire una cosa sola: è possibile con la sola forza delle proprie idee raggiungere traguardi impensabili, ed esaltando la forza del gruppo come moltiplicatore di forze.

E poi quanto ha fatto Beppe Marotta. Che giustamente ce le avrà girate a mulinello per aver perso la terza finale di Champions, e questa volta per la prima volta meritando di vincerla. Ma conosce come è fatto il calcio, meglio di ogni altro dirigente del calcio italiano, e sa che anche questo è possibile.

Ciò non toglie tuttavia nulla all’aver per la prima volta portato a un passo dalla Champions un club costretto a fare di necessità virtù, a barcamenarsi tra debiti da estinguere che lo costringono da 2 anni a non fare acquisti, e per questo a essersi arrangiato con prestiti e parametri zero.

Mai un club in una situazione simile era stato tanto vicino all’essere campione d’Europa, e anche qui l’ha fatto con la forza delle idee in sede di mercato, componendo un mosaico estremamente delicato tra arrivi e cessioni, e tenendo la barra dritta in quei momenti in cui tutto sembrava andare alla deriva.

Non ci sarà un albo d’oro in merito, ma avere Simone Inzaghi e Beppe Marotta è la vittoria più importante per l’Inter.