Tre cose che la Supercoppa italiana ha barbaramente cancellato

Tre cose che la Supercoppa italiana ha barbaramente cancellatoTUTTOmercatoWEB.com
Oggi alle 00:00Editoriale
di Marta Bonfiglio

Siamo sotto un altro cielo. Un cielo lontano, quasi artificiale, illuminato da riflettori che parlano più di business che di passione. Eccoci qui, ancora una volta, con la Supercoppa italiana lontana dall’Italia. Il Napoli e il Milan si sono già affrontate, gli azzurri hanno vinto 2-0 e sono volati in finale. Oggi tocca all'Inter e al Bologna sfidarsi per accedere alla finale di lunedì, ma sarebbe superfluo ridurre tutto alle sole partite. Ancora una volta questo torneo alimenta discorsi che meriterebbero ampio tempo di riflessione. 

La giustificazione è sempre la stessa. Si gioca in Arabia Saudita per la crescita del brand, la visibilità internazionale e le risorse economiche indispensabili. Argomenti comprensibili, soprattutto in un sistema calcistico che da anni fatica a reggersi sulle proprie gambe. Eppure, quando la Supercoppa si gioca lontano dall'Italia, il problema non è soltanto economico o logistico. È culturale e sportivo. Perché alcune scelte, anche quando vengono presentate come neutre, raccontano molto di ciò che il calcio è disposto a sacrificare. Sono tanti gli elementi che si dovrebbero rivedere, ma per lunghezza e spazio mi limiterò a portarne solo tre. 

1) Il sacrificio evidente è quello dei tifosi.
Il calcio nasce e vive nei suoi stadi, nelle curve, nelle trasferte, nel legame quotidiano tra le squadre e le città che rappresentano. Portare una competizione lontana da casa significa, di fatto, escludere proprio chi quel calcio lo sostiene tutto l'anno. Gli stadi sauditi che ospitano la Supercoppa appaiono spesso mezzi vuoti o popolati da un pubblico curioso, ma privo di un legame autentico con le squadre in campo. Milan, Inter, Bologna e Napoli (in questo caso) diventano marchi globali da consumare per una sera, non comunità sportive con una storia e una voce.

Le squadre hanno bisogno dei loro veri tifosi. Di quelli che ci sono sempre. Allontanare una competizione simbolica come la Supercoppa dal suo contesto naturale significa trasformarla in un evento artificiale, più simile a un'esibizione che a una competizione. Il calcio può anche viaggiare, ma se perde il contatto con chi lo rende vivo rischia di svuotarsi di significato.

2) La formula della Supercoppa italiana.
Tradizionalmente, questa competizione metteva di fronte la vincitrice del campionato e la vincitrice della Coppa Italia. Una gara secca che premiava il merito sportivo. L'introduzione della formula a quattro squadre, giustificata dall'esigenza di aumentare lo spettacolo e il valore commerciale dell'evento, ha invece finito per indebolire il senso del trofeo. Lo ha detto anche Chivu in conferenza stampa: "Approfittiamo di questo nuovo format, un mini torneo. A noi e al Milan hanno fatto un regalo".

Se anche le seconde classificate possono partecipare, allora viene meno il principio fondamentale della competizione. A cosa serve arrivare primi, a cosa serve alzare una coppa, se poi il premio viene esteso per esigenze di palinsesto e di mercato? La Supercoppa rischia così di diventare un mini torneo costruito più per adattarsi alle richieste dei paesi ospitanti che per celebrare l'eccellenza sportiva della stagione precedente. È un passaggio sottile ma decisivo. Il merito lascia spazio all'opportunità economica, e il trofeo perde parte della sua credibilità.

3) Un aspetto più concreto e meno ideologico, che merita attenzione: il calendario.
La Supercoppa, per sua natura, dovrebbe essere una partita secca da disputare in estate, lontano dal cuore della stagione, come un ponte simbolico tra ciò che è stato e ciò che sta per iniziare. Un appuntamento che apre l'annata, non che la interrompe. Collocarla a campionato inoltrato, nel mezzo di una stagione già congestionata, significa trasformarla in un corpo estraneo. Viaggi lunghi, ritmi spezzati, partite ravvicinate. Tutto si somma a calendari già saturi di campionato e coppe europee. L’aspetto sportivo passa in secondo piano, mentre aumenta il rischio di infortuni e cala inevitabilmente l'intensità. 

Alla fine, la questione è ricordarsi cosa non è la Supercoppa: un tour forzato in mezzo alla stagione. Se diventa un intralcio al campionato, un rischio per i giocatori e un evento slegato dal contesto sportivo, allora qualcosa si è rotto. Quando tutto questo smette di servire il gioco, è il gioco stesso a pagare il prezzo più alto.