Ce ne sono tanti come Lautaro. Sì, nelle patatine
Ammetto senza pentirmene che, quando leggo certi giudizi su Lautaro Martinez, mi sdoppio tra una crisi di nervi e una di riso: tralascio chi non tifa Inter, intuisco appieno l’arte del denigrare l’orticello altrui, entro i termini della buona educazione percularsi è sale del calcio, entro certi termini perché oltre si trasforma in una litania patetica, pacchiana e poco intelligente ma, sinceramente, fatico tanto a comprendere giudizi tranchant sul ragazzo da parte di chi, l’Inter, dovrebbe tifarla. Poi, certo, stiamo parlando di pallone e, come abbiamo inteso in queste settimane, la visione del giuoco del calcio ha diverse angolazioni e sfaccettature. Pertanto quel che piace a me ad altri non piace, ci sta. L’Inter scintillante e prorompente di gran parte del campionato per qualcuno è squadra normale, nulla più. Così come il Toro è un ammennicolo, e poco altro: si, dai, segna, però quando non serve o contro squadre di seconda e terza fascia, leitmotiv di chi lo denigra come mood.
Mi intristisco e vado a vedere: Lautaro ha segnato, indiscriminatamente, contro tutti. Ma proprio tutti tutti. Milan, Juventus, Atalanta, Roma, Napoli, Lazio, Fiorentina e potrei continuare a lungo con l’elenco. Già, però nelle manifestazioni importanti si nasconde: infatti, gol in Libertadores, Champions, Europa League, tralasciando la Nazionale argentina. Segna indifferentemente di destro, sinistro, testa, magari a volte di culo ma la fortuna aiuta i bomber così come la sfiga ti guarda con ammirazione e resti a secco per un filotto di partite. In campo è il primo difensore, leggendo le statistiche dopo le sue sostituzioni spesso la squadra va in difficoltà e prende gol, quando lui esce gli avversari mediamente salgono una quindicina di metri, leader indiscusso ormai dello spogliatoio nerazzurro, sguardo assatanato, paura di niente. Attenzione, non stiamo parlando di Pelè, Maradona o Leo Messi. Ma, uno così, vorrei sempre averlo nella mia squadra. Del resto non è leggenda metropolitana che proprio Leo Messi, nei suoi ultimi anni a Barcellona, avesse chiesto alla dirigenza catalana di portare il Toro in blaugrana. Messi, mica io. E non è neanche un caso che il nostro numero dieci giochi titolare nell’albiceleste, a fianco di chi? Tu guarda, di Leo Messi, col placet dello spogliatoio intero: altri, da quello spogliatoio, sono stati messi ai margini.
Ecco perché non riesco davvero a concepire come si possa trattare l’argomento Lautaro con la sufficienza del ma sì, cediamolo e prendiamo i soldi, poi rimpiazzarlo sarà l’ultimo dei problemi. No, non sarà l’ultimo dei problemi: casomai sarà il primo. Oltretutto, anche se sappiamo benissimo quanto i bravi procuratori siano capaci di gestire gli interessi del proprio assistito e non si mettano mai contro la piazza - non certo in momenti tanto delicati quanto questi ultimi fine stagione nerazzurri – l’idea del ragazzo non è (quasi) mai stata quella di levare le tende, anzi. A Milano si trova bene con la sua famiglia, l’ambiente gli piace, gioca in una grande Società che ha contribuito a riportare ad alti livelli in Italia e, col successo di Anfield grazie a un suo gol, anche in Europa abbiamo scalato qualche gradino. Parlo per me, ovviamente, ma il Toro è uno dei punti fermi da cui ripartire: vero, il suo grande difetto è avere pause dove non segna. Capita a chiunque faccia l’attaccante. Ma qui si da per scontato che Lautaro debba sempre timbrare, quasi per grazia ricevuta o diritto divino. Anche quando non segna il ragazzo si fa un culo quadro correndo dappertutto e rincorrendo chiunque. È un fuoriclasse? Non lo so, non comunque all’altezza dei grandissimi. Ma è un tesoro, un diamante da trattenere a tutti i costi. No, domando scusa se prendo posizione, e neanche troppo scusa: Lautaro non si tocca.
Alla prossima.
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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