Il panterone moscione per la nona volta (consecutiva) in doppia cifra. E lo ha scelto Conte

Paolo Di Canio non ammette di essersi sbagliato. Perché, come tanti di noi, quando c'è un concetto che sembra abbastanza solare - ma inviso alla maggioranza - la sensazione è che tutti possano dare valutazioni errate e che le proprie siano quelle giuste. Così se Lukaku è un "panterone moscione", come detto oggi ma più volte già fatto passare, come concetto, negli anni scorsi, lo sarà sempre qualsiasi cosa faccia il centravanti belga. Eppure i dati sono pazzeschi. In dodici stagioni nei professionisti, non male per chi compirà 28 anni a maggio, solo una volta Lukaku non è arrivato alla doppia cifra. Cioè la prima con il Chelsea, con un anno di apprendistato dovuto e che poi è costato molto nell'ottica della sua carriera.

Due volte con l'Anderlecht, una con il West Bromwich Albion, quattro con l'Everton, due con il Manchester United, due con l'Inter. Basterebbe questo a far capire che è sbagliato prendersela con chi ha una media realizzativa praticamente identica a quella di Trezeguet (senza coppe migliore quella del francese, altrimenti belga superiore) con la grossa differenza che l'ex Juventus era un grandissimo opportunista, ma non aveva quella foza per allungare le difese avversarie, né per far rimbalzare i marcatori quando cercano di rubare palla.

Il panterone moscione Lukaku ha stravolto le gerarchie del campionato italiano. Perché per quanto ottima spalla Lautaro, il gioco dell'Inter è imperniato su di lui. Sulle sue sponde, su suoi scatti, sui suoi gol. Capita anche ad altri di sbagliare, pure in momenti topici. Di fare autogol in finale di Europa League, oppure di parare su un colpo di testa destinato a dettare la qualificazione contro lo Shakhtar. Però, e questo è evidente, Conte ha voluto Lukaku perché era il panterone per tornare a vincere qualcosa. Sicuramente tutt'altro che moscione.