ESCLUSIVA - Abel Xavier: "Che forte l'Inter, ecco come colpire il Liverpool. Anfield non fa prigionieri"

ESCLUSIVA - Abel Xavier: "Che forte l'Inter, ecco come colpire il Liverpool. Anfield non fa prigionieri"TUTTOmercatoWEB.com
sabato 5 marzo 2022, 10:05Esclusive
di Daniele Najjar

Il viaggio di Abel Xavier non è finito, anzi: è appena cominciato. Se la sua avventura da calciatore lo ha portato a giocare in ogni angolo d'Europa (ed anche negli Stati Uniti), quella da allenatore lo ha già visto impegnato negli ultimi anni in Africa, nel Paese che gli ha dato i natali, il Mozambico. In attesa, ora, di una nuova possibilità dal Vecchio Continente, magari dall'Italia: "Amo il vostro Paese e parlo bene la lingua" - dice lui - ": ho solo bei ricordi del Bari e della Roma, anche se sono state avventure durate poco".

Abel è ricordato e amato anche per la sua estroversa capigliatura, con il celebre colore ossigenato: "Tutto è nato all'Europeo del 2000. Lì mi feci questa capigliatura. Nel torneo ci fu fatale la semifinale con la Francia. Dopo quella partita subimmo molte critiche e ripercussioni per quanto successe in campo, con il rigore decisivo assegnato ai francesi. Al posto di adattarmi e fare un passo indietro però, decisi di tenere i capelli così. Il calcio è un mondo conservatore, ti dicono come devi essere e come presentarti. Per me quello era un modo per affermarmi, esprimermi, essere me stesso e per dire: si può vincere anche così, dovete giudicarmi per quello che faccio in campo".

Dove Abel ha potuto lasciare maggiormente il segno è sicuramente nella città di Liverpool, soprattutto all'Everton, prima di passare agli eterni rivali. Città che presto l'Inter di Inzaghi dovrà visitare, per tentare un'impresa che sembra molto ardua, se non impossibile: rimontare 2 gol ai Reds, a domicilio.

La redazione de L'Interista ha avuto il piacere di intervistarlo, per parlare dei suoi tanti ricordi, ma anche della sfida che i nerazzurri si troveranno ad affrontare martedì. 

Abel, com'è andata l'avventura al Mozambico?

"Qualche anno fa sono ritornato in quello che è il mio Paese di nascita. Il presidente mi ha chiamato per chiedermi se volevo dare una mano a ricostruire la Nazionale, vista la mia esperienza come calciatore. L'Africa è piena di talenti, tanti giovani vogliono fare strada. Ma in un contesto difficile, duro. Essendo originario da lì capisco come mai, nonostante tutte le cose buone che ci sono, le squadre africane fatichino a portarsi al livello del resto del mondo. Ci sono tanti giocatori di talento, fisico, creatività, ma non si riescono a costruire squadre forti, affermate".

Cosa ha significato per te questa esperienza?

"Il Mozambico non è la Nigeria o il Ghana, ma il talento c'è. Sono rimasto lì 3 anni e mezzo, fungendo anche da interlocutore con il ministero dello Sport, per cercare di ricostruire per davvero. Una difficoltà per esempio era data dal fatto che in questi paesi la selezione spesso corrisponde con i calciatori della Capitale, dimenticandosi di avere una visione d'insieme dell'intero Stato. Oltre al selezionatore ho fatto il coordinatore delle giovanili, della formazione dei calciatori. Ho mancato la qualificazione alla Coppa d'Africa, contro la Guinea-Bissau. Poi ho ricevuto offerte dallo Zambia ed anche dal Ghana. Questa maledetta pandemia ha fermato il mercato".

Ora che fai?

"Sono tornato in Portogallo, ho fatto un anno di riflessione, vicino alla mia famiglia. Mi sto guardando intorno fra nazionali e club per continuare la mia carriera da allenatore".

Anche in Italia, magari?

"Sicuramente è uno dei miei obiettivi. D'altronde parlo bene l'italiano ed ho molti amici. Quando mi voleva il Parma avevo un grande rapporto con Federico Pastorello, così come con suo papà che era direttore generale dei gialloblu. Vorrei ripercorrere la carriera da calciatore anche come allenatore, tornare in quei paesi dove mi sono affermato giocando, in un'altra veste. Altri allenatori portoghesi hanno un po' aperto la strada, oggi siamo credibili e rispettati anche da voi".

Hai giocato davvero in tutta Europa.

"Guardandomi indietro, mi sono trovato bene in tutti i Paesi, pur in diversi contesti, club, in alcuni ho giocato meglio, in altri peggio. Quando facevo un cambiamento, lo affrontavo con positività e maturità. Per esempio anche in Italia, al Bari prima ed alla Roma poi, mi sono trovato bene".

Dove ti sei divertito di più e perché?

"Non posso dire di essermi trovato male in nessun club, davvero e nemmeno che un Paese sia stato meglio dell'altro. Quando lasciai il Benfica fui vicinissimo a passare al Parma, che era fortissimo negli anni 90'. Questa possibilità nacque per via dello sponsor, che era lo stesso (Parmalat). Era tutto fatto, ma fecero un accordo per mandarmi in prestito al Bari, dove il contesto era ovviamente diverso. Ma c'erano buoni giocatori come Protti, che fu capocannoniere. Anni dopo mi sono trovato alla Roma: un anno difficile, con 4 allenatori. Stagione iniziata con Prandelli, poi Del Neri, che è stato colui che mi ha chiesto di giocare nella Capitale. Poi ci fu l'Inghilterra, dove sono rimasto più tempo. Anche il passaggio in Turchia è stato stimolante, particolare, una cultura grande per il calcio, quasi fanatica".

Alla Roma è stata una stagione difficile.

"Sì, ma ho un bellissimo ricordo. Ti racconto questa: primo giorno a Trigoria, arriva Cassano tutto euforico, al tempo era un giovane che stava emergendo. E mi dice: "Xavier, ti ricordi di me? Facevo il tuo raccattapalle al Bari!". E rideva come un matto. Io gli rispondo: "Guarda quanta strada hai fatto in questi anni". Lui era un fenomeno, come calciatore e come persona".

Com'era nello spogliatoio, Antonio?

"Difficile da gestire, ma una fuoriserie, non ci sono altre parole. Aveva irriverenza nella sua personalità, solo per quello non è stato il migliore al mondo. Chi ha avuto l'opportunità di averlo nello spogliatoio, sa di che parlo: c'era sempre grande divertimento con lui, ma quando aveva la palla al piede, anche grande serietà nel giocare. Quando si metteva seriamente a farlo era un fuoriclasse. Bisogna capire che ognuno ha la sua personalità, lui era uno speciale, da gestire appunto".

Che coppia con Totti.

"Lui era l'Imperatore di Roma, il Re. Quella squadra era piena di giocatori di livello internazionale, c'erano anche Mexes, Panucci, Dacourt, Montella. Un gruppo molto difficile da gestire".

In Inghilterra hai scelto prima l'Everton e poi il Liverpool. Come hai vissuto queste due esperienze?

"La gente, quando vede la professionalità, ti rispetta anche come rivale. Le mie prerogative sono sempre state la professionalità e la disciplina: potevo giocare anche di meno, ma nessun allenatore può dire che io gli abbia creato problemi. Quando sono andato in Inghilterra, stavo per firmare per il West Ham di Di Canio, ma è arrivato l'Everton dicendomi che mi voleva con forza. Al tempo tutti volevano giocare a Londra, ma decisi di andare al Nord, dove ho conosciuto le vere rivalità del calcio, ed anche sociali fra Nord e Sud. I calciatori devono capire che dove vai trovi una cultura diversa, che devi conoscere e rispettare".

E' stato così che sei riuscito a farti amare da entrambe le tifoserie?

"Sì, se tu rispetti la cultura, la gente ti fa sentire uno di loro. Io avevo questa  personalità irriverente, ma rispettosa della cultura ed i tifosi lo hanno capito. Mi sono trovato benissimo in due anni e mezzo all'Everton. Nel 2002, a gennaio, il club aveva grandi problemi economici.ed il Presidente mi ha detto: "Abel non possiamo rinnovare". Nessuno, neanche io, immaginava che potessi andare ai rivali di sempre. Ma il Liverpool giocava in Champions, non potevo dire di no. All'Everton, pur in un club storico, eravamo in cattive acque".

Ed in città come hanno preso quel passaggio?

"Ero amato dai tifosi dell'Everton, fu un duro colpo per loro, ma credo che mi capirono. Sono arrivato nei Reds con mille dubbi: come verrò accolto? Come la prenderanno i vecchi tifosi? Avrò bisogno di protezione, andando in giro? Al Liverpool però ho avuto l'allenatore più visionario della mia carriera, Gerard Houllier, che poi è mancato. Mi ha dato la fiducia giusta per non pensare a queste cose e pensare solo al calcio. Loro avrebbero pensato alla casa, alla mia sicurezza".

Che cosa ti ha dato Houllier?

"Credo che sia stato fondamentale per i Reds, per cambiare la mentalità del club e portarlo ad essere vincente ogni anno, E' stato il grande mentore non solo mio, ma di tutta la società. Lì si diceva: non servono i migliori giocatori del mondo per fare la miglior squadra del mondo. E' questa la mentalità che ha portato il Liverpool ai livelli nei quali è oggi. Oltre a ciò che ha vinto, è importante ciò che ha lasciato. Wenger in più di 20 anni non ha fatto quello che Houllier ha fatto in 6 anni. Benitez non ha dato continuità al suo lavoro, secondo me. Quando è arrivato Klopp, ha avuto tempo per ricostruire. Ha capito l'ambiente e lui sì che l'ha riportata al top nel mondo".

Giocare ad Anfield cosa significa?

"Una delle cose che mi ha convinto a cambiare. Una cosa era guardare quel mitico stadio da fuori, un altro era giocarci. Anfield è speciale per tutto quello che rappresenta. Poi ci ho giocato in un grande momento, con Houllier appunto". 

E giocare ad Anfield da avversario? L'Inter deve andarci martedì...

"Ho visto l'andata. Inzaghi sta facendo un grande lavoro all'Inter. Sta facendo giocare un calcio di un livello fantastico, in continuità con quanto aveva fatto vedere alla Lazio. Ma ad Anfield sarà tanto, forse troppo dura. In queste notti speciali, questo stadio si trasforma. E' vero che anche San Siro è speciale, ma è diverso".

In cosa?

"Anfield non permette che la squadra possa abbassare l'intensità o essere statica. Non esistono calcoli da fare lì. Il pubblico non permette ai giocatori di pensare: "Ok ora aspettiamo in difesa l'avversario visto che siamo in vantaggio". Il Liverpool giocherà all'attacco, per certo. L'Inter ed Inzaghi dovranno essere forti, mentalmente".

Dove l'Inter potrebbe avere possibilità?

"Nella partita d'andata l'Inter è stata fortissima. Al Liverpool ha concesso i contropiede, che però sa fare molto bene, in modo micidiale. L'Inter è una squadra molto compatta, unita, gioca con armonia. Può colpire il Liverpool soprattutto con le due mezz'ali, se riusciranno ad avere rapidità. Potrebbe avere la possibilità di colpire nel corridoio centrale. Ma prima dovrà stancare i Reds".

Come?

"Dovrà riuscire ad eguagliarne l'intensità ed il gioco a tutto campo, allora potrà avere una possibilità. Va detto che questo tipo di gioco l'Inter sta dimostrando di poterlo fare. Il Liverpool a gennaio ha fatto acquisti che gli hanno permesso di essere più forte, con più soluzioni, come Luis Diaz ed anche questo è un fattore da considerare nella partita".

La lotta Scudetto in Italia ti sta piacendo?

"E' interessante, negli ultimi anni si vedeva sempre la Juventus vincere. Il campionato italiano sta tornando competitivo. Mi piace vedere che nella lotta al titolo ci sono 4-5 grandi squadre in corsa. Se Mourinho continua il suo lavoro, potrà costruire anche lui una squadra per vincere nei prossimi anni. L'Inter sta esprimendo un grande gioco, per me non è una sorpresa vedere che sta dove sta. Qualche anno fa non riusciva a competere, ma poi ha costruito una bella squadra, step by step".

Come giudichi la fase della carriera del tuo connazionale Cristiano Ronaldo in Italia, alla Juventus?

"Cristiano è un fenomeno. La Juve ha sempre avuto una grande mentalità. Ma quando finiscono i cicli, e la squadra oscilla, devi fare dei ritocchi, degli aggiustamenti. Ed i giocatori abituati alla stabilità soffrono di più. Lui si è trovato in mezzo a questa instabilità e nonostante questo è stato decisivo con i suoi gol. Ma la squadra doveva capire che il gioco doveva girare intorno a lui. Questo doveva essere capito anche a livello societario. Credo che non debba dimostrare niente a nessuno, ha segnato dappertutto. Parlano per lui la sua professionalità ed il suo rendimento".