Non è una partita qualunque
No, ma io quella con la Juve...No, a me della partita con la Juve, sincerità per sincerità, interessa come e quanto una normalissima sfida di campionato, nulla più, rigori dubbi a parte. Sarà perché sono nato a Milano, sarà perché ci vivo, sarà perché il panettiere (che tra parentesi sforna cibo clamoroso) è della parte “sbagliata” del Naviglio, così come un sacco di gente che incontri per strada quotidianamente (ma come si fa a non essere interisti a Milano, mi chiedo io), amici e parenti. Il derby è il derby, non esiste e non può esistere partita più sentita della stracittadina: qui non siamo in Spagna dove, a parte l’Atletico degli ultimi anni, le città avevano la grande squadra e la comprimaria: qui parliamo di due potenze mondiali, due Società conosciute in qualsiasi angolo, anche il più remoto, del pianeta, ovunque si mastichi un filo di calcio. L’unica città al mondo dove entrambi i club hanno vinto di ogni, soprattutto la coppa dei Campioni, io preferisco chiamarla così che Champions proprio non mi piace, sono un romantico pallonaro.
MilanInter ha un sapore particolare, un profumo così forte che perfino le bancarelle fuori dal Meazza sembrano emanare odori più appetitosi del solito. Sì, anche quel panino pre fischio d’inizio con peperone e salsiccia che ti ballerà nello stomaco novanta minuti e oltre ha maggior appeal.
Non è un discorso di come arrivano le squadre alla partita, e neanche del luogo comune medievale del favorito che perde. Puttanate, chiedo scusa. Se una delle due è più forte dell’altra vince, poche balle. Da sempre è capitato così: e, le rare volte in cui è accaduto l’impensabile beh, non raccontiamoci storielle, fa parte del gioco. Come lo Sheriff che vince al Santiago Bernabeu tirando in porta quattro volte contro le trentuno dei blancos, come il Piacenza che pareggia anni fa senza fare un tiro in porta, subendone non ricordo nemmeno quanti e con l’Inter a battere ventisei (26) calci d’angolo.
Intendiamoci, a Milano il derby è sana rivalità cittadina ormai da anni e anni, dalle ultime schermaglie pesanti durante un “Mundialito” per club con annessi regolamenti di conti alla fine degli anni settanta. Da allora molto è cambiato, tutto sinceramente non so, ma incidenti gravi non ne ricordo, almeno a memoria. Però la rivalità è rivalità e i cugini, quel giorno lì, non sono nemmeno parenti. Non sono nulla. Sono semplicemente l’avversario da battere. Certo, non siamo ai livelli di Rosario Central-Newell’s, con mogli (o mariti) che la sera precedente vanno a dormire, se il tifo è diviso in famiglia, a casa dei genitori: perché lì nasci così, canaglia o lebbroso. No, assolutamente.
Però ragazzi, che menata quando perdi. Ti perculano soavemente per giorni e giorni, facciamo settimane e settimane, facciamo fino al ritorno che se perdi anche quello meglio nascondersi o evitare di parlare di pallone.
Non è una partita qualunque. Posso perdonare tutto a un calciatore, il mancato impegno in una stracittadina no, se non esci dal campo con la maglia fradicia allora non hai capito niente, meglio tu faccia le valigie e te ne vada. Stasera non ci si gioca nulla, manca ancora troppo alla fine del campionato perché si possa dire vinciamo e arrivederci o il contrario. Però, certo, i tre punti rappresenterebbero un segnale fortissimo alle dirette concorrenti: significherebbe noi siamo qui, abbiamo lo scudetto cucito, siamo i Campioni. Se siete davvero bravi come credete venite a prendercelo. Perché il derby, non dimentichiamolo mai, si può vincere anche senza dominare, senza essere fantasmagorici: basta un gollonzo, un golletto, magari a dieci secondi dal fischio finale, così non si soffre neppure: o forse anche sì, anche per dieci luridi secondi.
No, decisamente non è una partita qualunque.
Forza ragazzi!
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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