La lezione di Chivu è mentale, prima che tecnica. Perché il ko con la Juve ha rappresentato la svolta

La lezione di Chivu è mentale, prima che tecnica. Perché il ko con la Juve ha rappresentato la svoltaTUTTOmercatoWEB.com
Oggi alle 00:00Editoriale
di Michele Maresca

"La squadra doveva mettersi alle spalle il finale della scorsa stagione, dopo un'annata fatta bene. Il calcio è bastardo, le cose negative te le porti dietro. Avevano bisogno di fiducia, di essere shakerati. Hanno ancora dentro il fuoco per fare una stagione di nuovo ai vertici". Con queste parole, il tecnico dell'Inter Cristian Chivu ha descritto in maniera ideale il lavoro che ha dovuto svolgere per convincere i calciatori nerazzurri del fatto che vi fosse "vita oltre il PSG".

Tali dichiarazioni, rilasciate dal rumeno alle frequenze di Sky Sport al termine del netto 4-0 contro l'Union SG, possono essere considerate come un manifesto programmatico della complessa - ma indubbiamente stimolante - attività che impegna gli allenatori, specialmente quelli chiamati ad operare ai vertici. Perché ogni calciatore, anche chi ha ottenuto vittorie importanti e sognato da vicinissimo i massimi successi, può perdere fiducia e consapevolezze a causa di eventi psicologicamente devastanti (chiaramente nella cornice di un contesto sportivo).

La finale di Champions League persa contro il PSG con il rotondo punteggio di 0-5 rientra pienamente in tale categoria, avendo lasciato delle scorie manifestatesi in occasione del successivo Mondiale per Club. Nel torneo internazionale la squadra nerazzurra non ha mai mostrato realmente di aver ritrovato se stessa, con l'uscita ai sedicesimi per mano della Fluminense che ha rappresentato l'esatta fotografia di una squadra smarrita, impaurita, priva delle certezze che ne avevano permeato il cammino con Simone Inzaghi alla propria guida.

Consapevole che la virtù risieda nella capacità di attendere, procedendo gradualmente per ristabilire la situazione auspicata, Chivu ha individuato come prioritario l'impegno sulla psiche dei propri giocatori. Da restauratore, il tecnico rumeno è partito dall'assunto per cui una rivoluzione non rappresentava la soluzione opportuna e conveniente, dato il livello delle figure con le quali era chiamato a misurarsi. Anzi, proprio la consapevolezza di avere a disposizione dei calciatori di grande spessore - come certificato dal fatto che avessero raggiunto una finale di Champions superando Bayern Monaco e Barcellona - ha consolidato in lui il convincimento dell'esigenza di agire senza operare alcuno stravolgimento per conseguire l'obiettivo di un "ritorno alle origini".

Le premesse di un ripristino della realtà precedente - che tante soddisfazioni ha regalato ai tifosi nerazzurri - si sono viste in una sconfitta in particolare, quella rimediata in modo amaro a Torino contro la Juventus. Il 3-4 dei bianconeri, maturato con il gol finale di Vasilije Adzic su errore di Yann Sommer, ha infatti conferito rinnovate consapevolezze ai calciatori dell'Inter, nuovamente consci di poter indossare le vesti del Top Club in un contesto d'eccezione come quello dell'Allianz Stadium. Dal PSG alla Juventus, mai come in questa circostanza può essere tracciata una distinzione marcata tra due tipi di sconfitte: una senza note positive, l'altra capace di offrire nuove speranze per il futuro; una senza appello, l'altra che funge da "impulso per svoltare".

Un esempio per tutti: quella vista contro i bianconeri è stata la miglior versione di Hakan Calhanoglu negli ultimi mesi, non solo per i due gol che portano il suo marchio di fabbrica, ma anche per la prestazione di potenza e armonia che ha riconsegnato quel binomio di qualità e quantità grazie al quale il turco si era conquistato le chiavi della regia nerazzurra. Un rendimento che il numero 20 dell'Inter è stato poi in grado di offrire con continuità nelle successive uscite, esattamente come fatto da Federico Dimarco nell'ultimo mese all'Inter e in Nazionale. Le loro doti tecniche e tattiche non potevano essere svanite in maniera improvvisa. Piuttosto, sono state le barriere mentali che i due calciatori nerazzurri - e non solo - si sono costruiti in base alla disfatta di Monaco a incidere in maniera decisiva sul loro rendimento difettoso.

Chivu l'ha compreso, ma ha scelto la via della restaurazione in luogo di quella della rivoluzione: con moderazione, senza comunicazioni all'esterno deleterie per il raggiungimento del suo disegno, il tecnico dell'Inter ha operato con successo un lavoro taumaturgico che ha visto i protagonisti nerazzurri tornare a una piena consapevolezza di sé. Perché la svolta si costruisce a partire dal piano psicologico, attraverso un lavoro certosino nel quale non può mai mancare la considerazione per le difficoltà e debolezze vissute da un atleta. Come sa benissimo anche Chivu, un allenatore dimostratosi in grado di rispettare i momenti dei suoi calciatori per consentirgli di raggiungere la piena riscoperta di sé