La Juve chiude la manovra stipendi con un patteggiamento. Giocheremo mai alla pari?
In vista della finale di Istanbul il pensiero dei tifosi è inevitabilmente rivolto alle mille possibilità che potrebbero svilupparsi in quella che è la partita più importante degli ultimi tredici anni.
I temi sono invariabilmente legati alla scelta del partner d’attacco di Lautaro, alla necessità di preservare il maggior numero di giocatori nell’ultima partita di Campionato col Torino, alla metabolizzazione di quello che sta accadendo, in relazione ai non esaltanti otto mesi precedenti e a qualche eventuale suggestione di mercato, giusto per non pensare ossessivamente solo al 10 giugno.
Tra i tifosi è rapidamente sedimentata l’idea che vincere la coppa sia meno impossibile di quanto non sembri. E’ un normale e legittimo principio di chi sta per vivere un evento tanto importante e sa di non esserci arrivato per caso. L’Inter di Inzaghi per esempio, ha una squadra meno robusta di quella del 2010 ma più completa di quella del 1972, quando la finale venne giocata a Rotterdam e l’Ajax che giocava in casa era nettamente favorito e vinse con un perentorio 2-0,( al di là di un rigore abbastanza netto su Mazzola non fischiato e un’espulsione mancata di Keizer dopo una gomitata come reazione ad un fallo di Bertini). Quell’Ajax era molto forte ma l’Inter, che era arrivata con un percorso meno entusiasmante, ebbe comunque le sue occasioni. Probabile che avvenga anche in questo caso. Il City è una formazione più completa e tecnicamente mostruosa, con una panchina ricca di talento e giocatori che sarebbero titolari praticamente ovunque, ma la proporzione con tante finali del passato rischia di essere inesatta. Tante volte la squadra sfavorita è riuscita a prevalere, se pensiamo al Chelsea che ha vinto la finale ai rigori in casa del Bayern Monaco, l’Amburgo che sconfisse la Juventus, il Liverpool che rimontò e sconfisse il Milan e lo stesso Milan quando rifilò 4 gol al Barcellona di Crujff.
Negli ultimi quindici anni tuttavia, nella stragrande maggioranza dei casi, la squadra più forte e abituata ha vinto. La differenza è l’incredibile polarizzazione creata dalla precisa volontà dell’Uefa di scegliere una ristretta élite di squadre ricche e potenti a cui assegnare il ruolo di semidei.
Il fatto che in Francia vinca sempre e solo il PSG, in Germania da 12 anni il Bayern, in Spagna solo Real e Barcellona e persino in Inghilterra dal 2018 vinca solo il Manchester City, con la sola eccezione del Liverpool nel 2020, mostra che la storia è cambiata e ci sia sempre meno spazio per le sorprese.
Il fatto è che la competizione non è alla pari e le istituzioni non hanno alcun interesse a smontare un giocattolo che ha intenti politici e industriali precisi. In Italia alla Juventus la manovra stipendi è stata chiusa con un patteggiamento cercato disperatamente dai nuovi vertici bianconeri e Federazione, per paura che i tifosi della Juventus disertassero il calcio e si abbassasse rovinosamente l’indotto. Le parole arrivate da Gravina sono state persino sfacciate e al tempo stesso rivelatrici di quella “realpolitik” del tutto distante dai valori sportivi. La UEFA in questi anni ha permesso tutto al PSG multandolo per svariati milioni pagati in minima parte grazie al consueto patteggiamento. La stessa pantomima col Manchester City, accusato di aver violato le norme che regolano il fair play finanziario e mai squalificato. Un club accusato nello specifico su temi inerenti a informazioni economiche relative a entrate, dettagli sulla remunerazione di allenatori e giocatori, regolamenti Uefa, redditività, sostenibilità e cooperazione con le indagini della Premier League. Ma c’è anche il Real Madrid dei Galacticos che, come altre squadre spagnole, venne aiutato a risanare i debiti attraverso le banche e i soldi dell’Unione Europea, o il Barcellona che ha pagato 7 milioni di euro a Negreira, ex arbitro ed ex vicepresidente del collegio tecnico arbitrale della federazione calcistica spagnola tra il 1994 e il 2018.
L’Inter dal suo canto ha avuto guai che l’hanno portata a patteggiare nel 2016 per plusvalenze fittizie. Il fatto è che la società annaspava nei debiti e non è qualcosa di cui andar fieri.
La vera differenza sta nel fatto che i club più ricchi non hanno fatto determinate scelte come necessità di sopravvivenza ma come atto di arroganza, con il solo intento di vivere meglio e vincere, con la certezza di poter infrangere le regole sapendo che le istituzioni del calcio non avrebbero avuto il coraggio e la convenienza di fermarli. E così è stato.
L’Inter giocherà contro una delle massime espressioni di questo moderno sultanato del calcio che schiera sceicchi, soldi, potere e si permette un monte ingaggi fuori da ogni logica.
C’è da chiedersi se per i giovani che crescono in una realtà in cui è normale che vincano sempre le stesse squadre e in cui la corruzione, il falso in bilancio o altre irregolarità siano tutto sommato “accettabili”, si tratti dello stesso sport che le generazioni precedenti seguivano e che avevamo imparato ad amare. Fino ad oggi.
Godiamoci l’Inter intanto ma non è una competizione alla pari.
Amala
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