Ma quanto ci piace l'Inter
L’anno calcistico 2021 si è chiuso. Un anno di quelli da segnare sul calendario della vita da tifoso. Rincorsa con sorpasso annesso sui cugini e successo finale a maggio, il numero diciannove cucito sul petto, montagne russe durante l’estate – e non facciamo quelli che l’Inter è una corazzata, per qualcuno manco era una barchetta di carta qualche mese fa ma mettiamoci una pietra sopra e lasciamo perdere, giochiamo talmente bene che non ho voglia di polemizzare con i facitori del ridimensionamento - partenza a singhiozzo prima dello scatto fine autunno inizio inverno col quale abbiamo raggiunto e sorpassato i diretti concorrenti nella lotta al titolo.
Il cambio al timone della nave nerazzurra non ha sortito esiti negativi. L’Inter che ci ha trascinato fino a maggio era una squadra potente, capace come poche altre di difendere con attenzione, chiudendo ogni linea di passaggio, ripartendo rapidamente grazie a due frecce quali Hakimi e l’ex centravanti ora in Inghilterra. Il rammarico più grande, cercando e ricercando nella memoria, è stata l’esclusione dall’Europa: da tutta l’Europa, intendiamoci, non solo dalla Champions. Sarebbe stato quantomeno divertente vedere i nostri eroi, alcuni ex forzatamente, altri per andare nella squadra per cui tifavano fin da bambini, quali livelli avrebbero toccato. Certamente pronti per vincere l’Europa League e fastidiosi, assai fastidiosi, per chiunque anche nel trofeo riservato ai più grandi. Confesso, un po’ come tutti ho barcollato un filo nel momento in cui Antonio Conte ha annunciato il suo addio: la mia convinzione era che sarebbe rimasto sul ponte a guidare i suoi uomini fino alla scadenza naturale del contratto. Al contrario il tecnico leccese, all’improvviso anche secondo le dichiarazioni mai smentite di Marotta, ha messo la retromarcia tirandosi fuori dal famoso percorso. Ondeggiamenti rapidi prima di dirigere attenzioni, denaro e convinzioni su Simone Inzaghi da Piacenza, quarantacinquenne di belle speranze, gradito nemmeno poco a Beppe Marotta e alla dirigenza interista. Sì, dai, gli ondeggiamenti sono durati lo spazio di una notte, poca roba, prima dell’agognata firma di Inzaghi junior. Inutile tornare sul vadononvadochepoivado dell’ex centravanti, abbiamo già detto che lì Simone si è incazzato nemmeno poco ma, a fronte dei validi chiarimenti societari, ha messo da parte l’ira funesta dedicandosi al lavoro, al campo, alla spiegazione ai suoi ragazzi di ciò che desiderava da loro. Partenza a singhiozzo, dicevamo poco sopra, con alternanza di ottime partite e altre meno performanti. Con una costante, però: fatte salve rarissime occasioni l’Inter ha sempre giocato un buon calcio offrendo molto di rado – è capitato, negarlo ha poco senso – spettacoli insufficienti. L’incidente di Roma sponda Lazio è stata una lezione ben compresa dal gruppo che, da allora, ha evitato di perdere capoccia e idee anche quando si è trovato in una qualche difficoltà. La vittoria col Napoli, molto più ampia e chiara del mero risultato finale, ha sbloccato gli attori nerazzurri consegnando loro certezze ritrovate e di tanto in tanto smarrite. Oggi l’Inter è bella, a tratti bellissima da vedere. E anche quando non gioca al massimo delle proprie possibilità riesce a venire a capo di partite fastidiose, Torino insegna.
Ripartiamo il giorno della befana. A Bologna. Stavolta non spero: stavolta voglio che i miei abbiano ben digerito il panettone, ripartendo da dove la storia si è interrotta. Per bissare il 2021: anzi, perché no, per migliorarlo pure.
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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