La rivoluzione culturale dell’Inter
Per carità, non siamo dalle parti della Rivoluzione Culturale di Mao Zedong del 1966 (considerando anche la portata tragica di quel sovvertimento) ma la rivoluzione di cui parliamo ha pur sempre un accento cinese e ha una caratteristica economica, considerando che da un Suning capitalista che vuole conquistare il mondo, siamo passati ad uno più proletario.
Andiamo per ordine:
abbiamo già visto un fragoroso cambio di panchine, tutte con un significato che si riverbererà nell’andamento della prossima stagione.
Mourinho alla Roma, Gattuso alla Fiorentina, Spalletti al Napoli, Sarri alla Lazio, Allegri che torna alla Juventus e Simone Inzaghi all’Inter sono novità che vanno anche oltre il semplice cambio tecnico.
Per intenderci Sarri con Lotito è un salto in controtendenza alla politica che il presidente ha adottato per anni. Fosse stato per lui avrebbe tenuto Inzaghi e proseguito in una direzione più rassicurante. Sarri lo costringerà ad osare e sarà fondamentale che tra i due si crei alchimia. Allegri che torna alla Juve è una restaurazione che rimette i bianconeri come favoriti per lo scudetto (diverso il discorso se fosse rimasto Conte e se l’Inter non dovesse cedere almeno uno tra Hakimi e Lautaro). Spalletti al Napoli può diventare esplosivo. E’ un tecnico preparato e all’Inter ha fatto un bel lavoro, al netto della sua comunicazione incontenibile. Mourinho alla Roma, con i Friedkin che si stanno muovendo con una certa decisione nel mercato e hanno ambizioni, pone la squadra in pole per la zona Champions.
La conferma di Pioli (ennesimo ex tecnico dell’Inter) al Milan è invece un elemento di continuità fondamentale per gestire una rosa ancora giovane che quest’anno è arrivata seconda.
L’arrivo di Simone Inzaghi all’Inter invece è un unicum e ha pochi precedenti, forse nessuno.
Non si tratta della capacità tecnica che speriamo confermi quanto di buono ha fatto alla Lazio, quanto dell’individuazione di un profilo decisamente organico al club, omogeneo nella comunicazione e quasi ordinario nelle dichiarazioni.
E’ un personaggio che Marotta voleva già alla Juventus, capace di interpretare quel modello di professionista, capace di integrarsi all’interno di un club senza anteporre la sua personalità, messa invece al servizio dell’azienda e della squadra.
Per Marotta Inzaghi sta all’Inter come Allegri stava alla Juventus nel dopo Conte. Anche in quel caso si trattava di una scelta funzionale nel quale era il club a funzionare e il tecnico a fare il macchinista.
In passato l’Inter si è affidata a uomini simili ma con rose meno forti, con meno potenziale, come nel caso di Stefano Pioli, chiamato in corsa e mandato via senza terminare la stagione.
Nella storia è più facile aver visto sulla panchina nerazzurra uomini temperamentali, di impatto, capaci, almeno indicativamente, di fare anche da front manager, come Benitez, Mancini, Mazzarri, Spalletti
Questa volta il nuovo tecnico ha a disposizione un bagaglio tecnico comunque superiore e una dirigenza con una maggiore vocazione aziendale rispetto al passato ma è in un contesto societario comunque difficile. L’Inter si presenterà con qualcosa in meno alla partenza di agosto ma non ridimensionato così tanto se si comprende che in Italia non ci saranno campagne acquisti che sposteranno significativamente gli equilibri rispetto all’anno precedente
A prescindere dalla situazione di Suning e quello che accadrà in futuro, il club ha deciso di programmare, senza più affidarsi a magnifici capitani di ventura ma ad un progetto tecnico che non sia suscettibile di variazioni, sollecitazioni pubbliche e private, uscite di scena e comunicazioni disorganiche. L’Inter vuole farcela con le sue gambe, credere nei suoi progetti e in una sua cultura del lavoro. Una società più sostenibile, persino con una parte di tifosi eccellenti che vorrebbe entrare con un modello di azionariato popolare, sembra essere davvero all’inizio di un nuovo approccio. Se Inzaghi saprà far funzionare la macchina potremmo vederlo sulla panchina nerazzurra per molto tempo.
Amala
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