Il destino nelle nostre mani
Il famoso ridimensionamento estivo, quello sventolato stile drappo rosso davanti agli occhi del toro, nel nostro caso dei tifosi interisti, non mi sembra si sia verificato. Certo, inutile fare giri risibili di parole, la squadra è fisicamente più debole di quella contiana, sul tecnicamente potremmo discutere anche se, dal mio personalissimo punto di vista, la spina nel fianco sta in quel ruolo a centrocampo che fa la differenza, azz se la fa: là dove c’era Christian, mi manca tanto. Però, a onor del vero, il nuovo Calha, quello dell’ultimo periodo per intenderci, inizia a camminare sulle orme del suo predecessore. Il derby mi auguro ci abbia restituito un calciatore finalmente conscio della propria capacità di giostrare anche in zone di campo sconosciute o, meglio, mal digerite. Senza dimenticare che, al netto di tutte le critiche possibili e immaginabili, durante il suo apprendistato nerazzurro Hakan ha messo a segno tre assist e due reti, avrebbero potuto essere tre anche queste ultime se gli avessero concesso il secondo rigore della stracittadina, ma sul problema undici metri si sono già spesi chilometri di inchiostro alla ricerca del candidato migliore.
Sì, insomma, il tanto vituperato numero dieci, vituperato da una parte, piccola per fortuna, della tifoseria, la stessa che magari fischia Dumfries invece di sostenerlo come bisognerebbe fare - la storia del pago il biglietto quindi posso fischiare non mi è mai piaciuta, ho avuto già modo di scriverlo, ripeterlo, dirlo: se avete voglia di fischiare o rumoreggiare aspettate la fine, prima confezionate esclusivamente il male e del calciatore e della squadra - continua a mantenere la media di un gol o un assist ogni due partite. Fa schifo? A me no, neanche un po’, vorrei sempre avere in campo uno che o segna o fa segnare ogni centoventi minuti circa, secondo più secondo meno. Ecco, già che ci siamo e l’ho citato, piccolo capitoletto a parte per Dumfries. Il ragazzo, quando scende in campo, appare spaventato e, a tratti spaesato: è un pacco, come ho sentito ripetere da qualcuno a mo’ di mantra? Per me no. Ma non no tanto per dire o scrivere qualcosa. No perché l’ho visto giocare, a volte con la sua ex squadra di club e, soprattutto, in Nazionale. Ecco, tutto mi sembra fuorché un pacco. Il ragazzo va aiutato, sostenuto, coccolato, non fischiato, spernacchiato o, peggio ancora, deriso. E poi, per piacere, smettiamola di fare paragoni con chi lo ha preceduto: quello è il numero uno al mondo, questo è un ottimo atleta che può crescere e dare soddisfazioni ai tifosi. Punto. Stesso discorso, già che ci siamo, per Lautaro: che non è diventato un pippone da quando ha firmato il rinnovo. Il ragazzo gioca da mesi ogni tre giorni, si sobbarca trasvolate oceaniche e ha 24 anni appena compiuti. Non 28. Non 29 e nemmeno 30. 24, da poco oltretutto. Anche qui, un minimo di pazienza, e che diamine. Non ha ancora l’esperienza di Dzeko, ad esempio, uno che si è integrato in un nanosecondo pur sbagliando qualche partita ma segnando tanto.
Insomma, per concludere: viste le sfide giocate contro le cosiddette pari grado, non ne abbiamo vinta una straccia ma anche la passata stagione con Antonio era andata così, davvero credete di non essere all’altezza di chi ci sta davanti? O appena dietro? Io sono convinto di essere non solo all’altezza, ma pure più forte, pensate Voi. Certo, se le prime della classe le vinceranno tutte da qui alla fine tanto di cappello. Ma, in caso contrario, cosa che accadrà sicuramente, dovremo essere bravi noi a sfruttare le occasioni concesse. In soldoni il destino dell’Inter che sarà dipenderà dall’Inter, non da congiunture astrali o dei del pallone.
Io ci credo. Eccome.
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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