Bentornata Inter: non giocheremo finalissime ogni anno, ma conosciamo la strada

Qualcuno vi racconterà che non c’è un modo migliore o peggiore di perdere: quando si perde si perde e basta. Per carità, ciascuno è libero di vedere e interpretare lo sport – e la vita, perché spesso le due cose si fondono – come meglio crede: personalmente, al contrario, sono certo ci sia modo e modo di accettare e vivere la sconfitta. L’Inter perde la sua finale di Champions League davanti a quella raccontata e dipinta da tutti come la squadra più forte del globo terracqueo, per quanto ne sappiamo anche della Via Lattea, oltre non mi spingerei. Perde di misura, grazie a un rimpallo e un tiro in corsa che passa tra due giocatori nerazzurri senza sfiorare né l’uno né l’altro, concludendo la sua avventura nell’angolino. Perché questa è la storia della finale. Lo ha ricordato Guardiola nell’immediato dopopartita, ribadendolo successivamente, mica Pippirella61 o Cipeciop44: è stato come aspettare una monetina volteggiante nell’aria cadere a terra, poteva andare in due maniere differenti. Questa volta gli Dei del calcio hanno scelto di premiare i Citizens, quindi gloria e applausi ai Citizens.
Però Istanbul, a noi interisti, ha insegnato anche altro: la squadra non è stata un’invitata imbucata alla più bella festa della stagione sportiva calcistica. Quel ruolo l’Inter se l’è guadagnato e, soprattutto, onorato, rischiando di pareggiare, a un passo dal supplementare, costringendo l’avversario a chiudersi per il quarto d’ora conclusivo nella propria area senza riuscire a sviluppare una trama di gioco degna di questo nome. Quindi orgoglio infinito per i ragazzi, la loro voglia, la loro grinta, la loro caparbietà.
L’Inter è tornata al tavolo delle grandi d’Europa scegliendo il modo più drammatico e, allo stesso tempo, esaltante: certo, quando si vince tutto è più semplice, perfino parlare bene del tuo antagonista, ma ho ascoltato le parole non solo di Guardiola, piuttosto quelle di altri osservatori disinteressati, neutrali a livello di tifo. Quasi tutti hanno sottolineato come i nerazzurri possano restare ai vertici del calcio, ritentare la scalata alla Champions, basta non disfare il giocattolo di fronte alle numerose offerte che verranno recapitate per questo o quel giocatore. Qualcuno partirà, accanto a molti ai quali il contratto è scaduto e non verrà rinnovato. L’asse portante della squadra deve passare da giocatori giovani e forti. L’Inter li ha: giovani, e forti. Insieme a loro vanno benissimo gli Acerbi o i Darmian, i Mkhitaryan o un paio di trentenni esperti, anche a parametro zero. Però a Simone Inzaghi va regalata una panchina non dico degna della titolare, ma lo dico: gli uomini, quest’estate, andranno scelti con intelligenza, senza sprecare denaro. Abbiamo scoperto di possedere un gruppo eccezionale, al quale dare fiducia, affetto e amore pallonaro.
Istanbul, per tornare dove l’Inter può e deve stare. Certo, non giocheremo finalissime tutti gli anni, non ci riescono corazzate che investono milioni e milioni. Però adesso conosciamo la strada. Restare nel gruppo, in attesa dell’ennesimo scatto, dell’ennesimo colpo di pedale. Le partite si vincono e si perdono: stavolta è andata male, la prossima chissà: forse la monetina deciderà di cadere dalla nostra parte.
Avanti l’Effecì.
Alla prossima.

Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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