BAR ZILLO - Intervista a Facchetti: "Buone prospettive in campionato. Ripartiamo dalla nostra storia"
Autore, attore, scrittore, artista a trecentosessanta gradi. E discreto calciatore della domenica mattina, il che non guasta mai, vista la quadriennale militanza nelle giovanili dell’Atalanta.
Gianfelice Facchetti, milanese, quarantasette anni e un cognome importante che ai tifosi - non solo nerazzurri - ricorda un uomo e un campione di enorme statura. Nerazzurro fin da bambino anche se, confessa “tornando indietro con la memoria, mentre scrivevo il mio ultimo libro (C’era una volta San Siro, edizioni Piemme per essere precisi n.d.r.), ho faticato a ricordare la mia prima volta allo stadio. Nella paura di sbagliarmi ti dico la prima partita che mi ha trasmesso emozioni forti: 1982, Inter-Napoli, papà decide di andar via a cinque minuti dalla fine, mentre vincevamo due a zero. Scendiamo le scale il Napoli fa due a uno. Tempo di arrivare alla macchina e pareggiano, due a due. Delusione immensa. Ah, detto per inciso, mio padre appena smesso di giocare aveva la tendenza a lasciare le tribune dello stadio qualche minuto prima: col tempo è tornato a viversi le partite fino al novantesimo, più recupero”.
Che ricordi hai di quel calcio? “Era tutto differente, c’era una cosa chiamata educazione. Come quella che avevano negli stadi con mio padre. Poi, Milano in questo è davvero speciale, tanta riservatezza. Certo, la battuta. Certo, la pacca sulla spalla. Ma finiva tutto lì. Quel che mi viene in mente sono gli steward o i normalissimi tifosi che snocciolavano a papà la formazione della grande Inter. Io l’ho imparata così, non fu Lui a insegnarmela”.
E il calcio attuale, Gianfelice? “Orientato dalla pandemia, che ha accentuato problemi evidenti da anni. Si naviga su un Titanic dove non importa la classe del tuo biglietto, perché se si affonda si affonda tutti. Non è una gara a tu stai peggio di me economicamente. Bisognerebbe – continua Gianfelice – rifondare, ricominciare da capo anche se parliamo di un’utopia in questo momento. Però il fair play finanziario è stato un fallimento, non ha fatto altro che allargare una forbice già preesistente tra un’élite calcistica e il resto del mondo. Mi auguro – conclude – che, dopo il mondiale in Qatar dell’anno venturo, si riparta mettendo i tifosi al centro del progetto, abbassando gli stipendi, tornando a un pallone più umano”.
E l’Inter, in tutto ciò? “Spero ci sia sempre posto, in dirigenza, per i Marotta o gli Ausilio di turno, abili a ricostruire in pochissimo tempo una squadra competitiva dopo le partenze che tutti conosciamo. Abbiamo buone prospettive in un campionato tanto equilibrato. Anche per noi dovrà valere il principio del ripartiamo: dai giovani, da stipendi meno esosi, da Simone Inzaghi che sto imparando ad apprezzare, pur conoscendone già le doti. Ma, soprattutto – chiosa – dalla nostra storia e dalla nostra identità: non hanno prezzo e non sono in vendita”.
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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