Sette giorni fa

Sette giorni fa TUTTOmercatoWEB.com
sabato 19 giugno 2021, 16:42Editoriale
di Fabrizio Biasin

Una settimana fa si ferma il tempo: il malore, lo choc, Kjaer, la moglie, le lacrime, il silenzio, l’attesa, il terrore, la foto, il miracolo. Anzi no, quale miracolo, quello lo fanno i soccorritori: magistrali. Quel ragazzo lì, 29 anni, esce dal campo ed è ancora “tra noi”. Inutile star lì a far la cronaca, ben ve la ricordate e, insomma, ci siamo capiti. 
Quel ragazzo lì, ieri, è uscito dall’ospedale: ha un parallelepipedo in più dentro al corpo e qualche speranza in meno di tornare a giocare a calcio. E molti hanno immediatamente spolverato la loro laurea in cardiochirurgia. E hanno detto “non giocherà più”. E altri hanno tirato fuori il regolamento, sacro, quello del “questo si può fare e questo no”. E si sono affrettati a dire “no, in Italia non potrà più giocare, perché ha quel marchingegno lì nel petto e con quel marchingegno lì nel petto in Italia sei fottuto”. E altri si sono spinti anche più avanti e hanno iniziato a far di conto: “Qui l’Inter rischia di prenderla in saccoccia, perché perde il giocatore e i 20 milioni dell’investimento”. Ma altri ancora si sono premurati a rassicurare: “Ma va, sereni, c’è l’assicurazione!”. E altri ancora hanno fatto 54324 capriole in avanti: “Oh, ragazzi, badate bene, qui tocca prendere un altro centrocampista dai piedi buoni, ché quello là va sostituito in fretta!”. 
E molti, troppi, si sono dimenticati che tutti questi ragionamenti li facciamo sulla pelle di uno che è vivo solo perché, per una volta, le stelle hanno scelto di regalarci il lieto fine. E questa cosa è capitata sette giorni fa, mica sette mesi. E ci ha congelato il sangue. E ora noi dovremmo ringraziare il cielo (e soprattutto i soccorritori) se siamo qui a grattarci la panza davanti alle partite e non sommersi dal dolore che provocano certe tragedie. Ma il mondo è questo, il mondo corre veloce.

E se ne fotte. E quel ragazzo lì, che poi è Eriksen, da uomo salvato su un prato si è trasformato in una manciata di ore in un “caso di mercato”, in un “problema dell’Inter”. 
E ti chiedono “chiama il direttore sportivo, senti l’amministratore delegato, rompi le balle all’addetto stampa, che qui tocca capire se credono nel recupero del danesino o hanno già voltato pagina. Perché l’hanno voltata, dai, come fa a tornare in campo…”.
E, insomma, il tempo corre troppo veloce. Troppo. E non va bene. Perché un giocatore di calcio che fa tre passi e crolla a terra in Euro (mondo) visione, non può scivolare via come acqua fresca. E quella cosa lì deve essere digerita, non si può trasformare in “buttiamo giù la formazione dell’Inter per la stagione nuova, ovviamente senza Eriksen”.
Poi, per fortuna, non sono tutti così. Per fortuna ci sono anche quelli che a Christian Eriksen augurano solo il meglio. E il meglio non è “quel che sarà”, ma “quel che è”: Eriksen è qui e sta bene. Con addosso un pezzo in più, ma bene. E saremo i primi a gioire se tornerà in campo (all’Inter o altrove) e gli diremo semplicemente grazie se, invece, avrà finito qui. Grazie per dieci anni ad altissimo livello; grazie per sei mesi sontuosi con quella maglia lì (la nostra); grazie per lo scudetto numero 19; grazie, soprattutto, per un anno e mezzo di professionalità, rispetto, impegno massimo, grande umiltà. Ecco, l’umiltà, quella cosa che distingue un sacco di presunti fenomeni dai veri campioni. E forza Christian.