La Supercoppa me la tengo cara. E in futuro vorrei evitare altre telenovele di mercato

La Supercoppa me la tengo cara. E in futuro vorrei evitare altre telenovele di mercatoTUTTOmercatoWEB.com
domenica 22 gennaio 2023, 21:30Editoriale
di Gabriele Borzillo

C’era una volta la favoletta della volpe e dell’uva, scritta magistralmente da Fedro per spiegare come, quando non si riesce a ottenere ciò che si desidera, si cerca di screditare l’oggetto del volere. La Supercoppa? Ma sì, dai, un porta ombrelli inutile, una roba ingombrante difficile da sistemare nella sala trofei di una Società. Una specie di contentino che vale poco: poco? Facciamo niente dai, roba da diseredati del pallone. Così ho letto, in qualche caso anche sentito. E, finché a pensarlo sono gli altri, quelli che perdono intendo, lo capisco pure: lo capisco un po’ meno quando a sminuire il valore di un trofeo vinto nel miglior modo possibile, dominando calcisticamente dentro e fuori dal campo gli avversari di turno, nella fattispecie i vicini di casa, sono i tifosi dei miei stessi colori. Già, è successo, aggiungo purtroppo. Io comprendo il risentimento o l’arrabbiatura nei confronti di una proprietà che non ha possibilità di investire denaro nel mercato ormai da tempo - non credo cambierà molto nell’immediato – ma la diminutio sempre e comunque parmi esercitazione poco interessante e, soprattutto, chissenefrega di pensare ai miei problemi (tanto) veri o (poco) presunti quando vinco. Perché quando vinco, quando vince l’Inter, non vince chi la possiede in quel momento: vincono i colori, i tifosi, il mondo nerazzurro nel suo insieme. E i dilani interni non mi toccano. Come dice la canzone? Ah, già…c’è solo l’Inter, per me, solo l’Inter. Punto.

Stesso discorso vale per gli interpreti principali delle domeniche pallonare. Li tifo, li sostengo, li applaudo finché indossano i colori del cielo e della notte. Cerco però di non affezionarmi: e non per un mero discorso dettato dalla mancanza di cuore, molto più semplicemente perché il calcio moderno non permette la devozione pallonara per chicchessia. L’epoca degli Zanetti et similia delle bandiere è finito, chiuso. Oggi comanda il professionismo dilagante, il dio denaro, l’offrire i propri servigi in nome e per conto del bonifico mensile. Non c’è niente di male in tutto ciò, premetto, non faccio né il puritano né, tantomeno, il moralista populista: il pallone si è ridotto, in parte lo è sempre stato ma mai a livelli tanto spudorati, alla domanda/offerta spietata. Ecco perché non sono colpito dalla vicenda Skriniar: c’è un calciatore che, correttamente dal suo punto di vista, fa una scelta di vita basata su una mera questione economica: poi, certo, la componente sportiva ha un peso specifico importante, vuoi mettere giocare con Mbappé, Messi, Neymar e compagnia bella? Soddisfazione immensa. Soddisfazione immensa anche, che so, a due milioni a stagione? O a due milioni si sceglie di restare a Milano, che non sarà bella come Parigi ma un suo fascino ce l’ha? Quindi sì, non è solo questione di feeling (Mina e Cocciante clamorosi, parolieri lo stesso Cocciante insieme a Mogol, mica pizza e fichi): il grano, l’eurozzo, fa la sua parte. Ripeto, a scanso di chi fatica a comprendere, Skriniar è un professionista del calcio, slovacco, non milanese o italiano, non è nato e cresciuto tifando l’Inter, è stato comprato dalla Samp spendendo anche un bel gruzzoletto - ricordo al suo arrivo i commenti dei tifosi, ma chi abbiamo preso, ma da dove arriva, ma che piedi ha, potrei continuare nell’esposizione – ed entrando in sintonia con pubblico e ambiente nerazzurro, dando sempre il duecento per cento (200% in numeri) durante ogni partita. Quindi, dovesse decidere di andarsene, lo ringrazierò per tutto l’impegno e l’affetto avuti per i miei, i nostri colori. Dovesse restare, ormai lo credono in pochissimi, qualche mosca bianca resiste, sarà un grande regalo. In ogni caso, caro Scrigno, auguri per il prosieguo della tua carriera.

Ora testa all’Empoli. Ci sono tre punti da portare a casa. C’è un intero girone di ritorno da giocare, diamoci da fare.

Alla prossima.