Inzaghi stavolta la vince coi cambi, con merito e col fiatone
Sottolineiamolo, per una volta: Simone Inzaghi vince la partita correggendo in corsa una formazione balbettante ma che, se si eccettua la ripartenza autolesionistica costata il pareggio friulano, aveva subito poco, direi pure nulla, nei primi quarantacinque minuti. È un’Inter che torna all’antico, Brozovic e Lukaku titolari al posto di Calhanoglu e Dzeko. Il croato delude parecchio sulla distanza, perdendo tempi, linee di passaggio e corsa, oltre a mostrare una forma fisica ancora molto lontana dallo standard al quale ha abituato la tifoseria del cielo e della notte; il figliol prodigo di Anversa, alla fine della fiera, risulta il migliore di una coppia d’attacco spuntata per le mancanze di Edin, simile a quello del fine stagione scorso piuttosto che non dell’inizio di questa. Insomma, il giovanottone bosniaco ha sbagliato tutto o quasi, divorandosi un gol all’apparenza facile facile. L’Inter vince, viva l’Inter. L’Inter vince e lo fa con merito, senza neanche troppa fortuna per dirla tutta: tralasciando qualche lamentela avversaria - non capisco come si possa affermare che il rigore fischiato sia molto dubbio ma è un problema mio, sicuramente il calcio non mi appartiene e non sono in grado di leggere e discernere episodi fallosi da quelli normali - la truppa inzaghiana crea molto più dell’Udinese, che pure si divora il gol dell’uno a due, facendo e disfacendo la tela a guisa della miglior Penelope. Complessivamente l’Inter di ieri sera a me, ripeto a me per essere chiari, non è dispiaciuta, neanche un po’: nonostante il solito, incredibile e inspiegabile attimo di sbandamento costato l’uno a uno, come sia possibile sbilanciarsi in quel modo è l’ennesimo mistero della Fatima pallonara. In altre circostanze la squadra si sarebbe disunita, cercando ossessivamente la porta avversaria, esponendosi all’ennesima ripartenza: che c’è stata, a essere onesti, ma è sembrata frutto di un accadimento casuale rispetto a una vera e propria idea tattica, di scelta sul come sistemarsi in campo. Però venti tiri a nove, di cui uno solo nello specchio della porta, raccontano tutte le verità possibili e immaginabili su novanta minuti portati a casa con maggior fatica rispetto a quella dovuta. Sì, in altre circostanze, ripeto, la squadra si sarebbe disunita, innervosendosi e vanificando gli sforzi per ottenere i tre punti. Stavolta invece i giocatori, oltre a cuore e corsa, ci hanno messo razionalità, usando il cervello nel miglior modo possibile. Sì, va bene, e che palle il refrain se loro non sbagliavano volevo vedere…vero, ma il calcio è anche questa roba qui e i se e i ma lasciano il tempo che trovano.
Per chiudere un paio di note sui giocatori. Barella mi è piaciuto assai, ero curioso di vederlo dopo una settimana alquanto movimentata. Lukaku non mi è dispiaciuto per niente: stare lontano dal campo di gioco per oltre tre mesi, al mondiale credo abbia giocato una sessantina di minuti, non è facile, uno della sua stazza poi ci mette tempo a recuperare la forma migliore. Handanovic è Handanovic, non si è trasformato in Zamora: per di più dal mio punto di vista non è nemmeno colpevole sul gol. Quel pallone lì, parlo da ex scarsissimo portiere, non è facile da prendere, anzi. Brozovic, ma l’ho già scritto, lo trovo parecchio indietro sulla medio-lunga distanza: primo tempo gradevole, secondo in cui ha perso completamente passo e riferimenti, risultando poco utile, sostituzione corretta.
Adesso la testa deve andare al Porto. In Champions l’Inter di questa stagione non ha tradito, giocando ottime partite. Ecco, mercoledì servirà esattamente questo: l’ottima partita. Cuore e corsa, supportati da tanto cervello. E pazienza.
Alla prossima.
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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