Che Inter vedremo? All'andata, a memoria, la partita più travagliata
Napoli, cantava Pino Daniele, è mille colori: e mille paure. Una di queste, per quanto ci riguarda, è la cronica incapacità di passeggiare con serenità a Fuorigrotta, recentemente ribattezzato Diego Armando Maradona, fuoriclasse che a noi interisti di dolori ne ha procurati parecchi. Oddio, a ben vedere siamo reduci dal successo dello scorso campionato, l’accoppiata Lukaku-Lautaro punì gli azzurri, tornati in partita per una ventina di minuti grazie a Milik. Prima il vuoto pneumatico dal 1997, da un due a zero quanto mai complicato, in panchina l’indimenticato e indimenticabile Gigi Simoni.
L’Inter arriva nel capoluogo campano recuperando, dopo due mesi, tutti gli effettivi, che noi siamo fortunati, nessuno si fa male, basta chiedere a Vecino, Sensi, Vidal, o ai 13 (tredici) che hanno contratto il virus, oltre a varie ed eventuali. Dall’altra parte i partenopei non hanno particolari problematiche dopo il recupero lampo di Zielinski, acciaccato ma pronto a servire la causa, gioca la tipo fatta eccezione per il funambolo Lozano, si è fatto ammonire senza un vero perché nel turno precedente, con Gennaro Gattuso che, casomai, ha abbondanza di scelte tanto da trovarsi di fronte a un doppio ballottaggio, con Mario Rui e Osimhen in vantaggio rispettivamente su Hysaj e Dries Mertens.
Napoli è trasferta tosta, dura, come la scorza del suo allenatore in evidente rottura con la Società ma quanto mai desideroso di lasciare la città regalando ai tifosi un posto nell’Europa dei grandi, quella che conta. L’altra Europa, la seconda coppa, ha poco appeal grazie all’UEFA, che l’ha relegata al ruolo di comparsa, fagocitata dalla Champions, che cambierà ancora formula dandosi sempre più alla poca comprensione, intasando se possibile i calendari in maniera esponenziale, tanto chissenefrega basta intascare il grano. E, possibilmente, focalizzare il proprio essere sul Fair Play Finanziario.
Qualche mese fa, al Meazza, l’Inter vinse di misura soffrendo come non mai, a memoria la partita più travagliata di questo campionato, messa all’angolo negli ultimi venti minuti da un Napoli indiavolato, per di più in inferiorità numerica. Ma era un’Inter diversa, meno convinta di sé stessa, con ancora le scorie di un gioco, quello di inizio stagione, fatto da tanto possesso palla, difesa altissima, ripartenze avversarie e gol subiti: incertezze su incertezze. Pian piano Antonio Conte ha ripreso i suoi per mano, guidandoli alla scoperta del quanto è bello ripartire noi mentre gli avversari ci guardano. E sì, capisco come il difendere così bassi possa procurare danni alle coronarie della tifoseria nerazzurra, ma si può anche interpretare come il raggiungimento di una tale consapevolezza da poter stare tranquillamente ai limiti della propria area di rigore senza nemmeno soffrire più di tanto. Perché il sentore che si ha in campo, mentre giochi, è assai diverso rispetto a quello di chi la partita la guarda, non ci partecipa attivamente.
Ripartiamo dagli undici punti di vantaggio sul Milan, da saper amministrare nelle restanti otto partite. Amministrare? AMMINISTRARE? Provate a dirlo ad Antonio Conte, di amministrare. L’Inter non è una squadra capace di amministrare, l’Inter deve fare l’Inter sempre e comunque: quindi sì, mi aspetto le linee cortissime, pronte a riversarsi di colpo nella metà campo avversaria, come un serpente che si ritrae e, all’improvviso, attacca. E, vabbè, sarà mica un bel vedere ci racconta qualche “esteta” del gioco fantasmagorico di nonsicapiscebenechi. Sessantanove gol fatti, ventisette subiti, miglior differenza reti, tralascio per pudore quel che abbiamo sbagliato sottoporta. Le critiche vanno benissimo, per carità, aiutano anche a crescere: al contrario le chiacchiere, di fronte a certi numeri, stanno a zero.
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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