Zanetti: "Arrivata l'Inter non ci credevo. Al primo allenamento ho sentito il senso di famiglia"

Zanetti: "Arrivata l'Inter non ci credevo. Al primo allenamento ho sentito il senso di famiglia"
lunedì 13 maggio 2024, 13:20News
di Yvonne Alessandro

Ospite vip a "Passa dal BSMT" di Gianluca Gazzoli, Javier Zanetti si è esposto a 360 gradi sulla sua Inter tra passato, presente e futuro del club nerazzurro. Uno degli sportivi più amati, non solo nel mondo del calcio: "Questa è la cosa che mi fa più piacere. Poter sentire il rispetto da parte di tutti, non soltanto dei miei tifosi. Vuol dire che uno ha fatto la carriera in una certa maniera e continua adesso a cercare di spiegare, soprattutto ai più giovani".

Anche tifosi del Milan, della Juve...

"Questo mi fa piacere perché sono onesti. Però il rispetto da parte delle persone e mio nei loro confronti, ho voluto sempre farlo in questa maniera. Grande rispetto per le persone che seguono questo sport".

Ti chiamano Pupi. Perché?

"Lo porto dall'Argentina, da quando ero piccolo. Me l'ha dato un mio allenatore. Poi ho messo alla mia fondazione con cui lavoriamo lì con tanti bambini, il senso della vita".

Ma perché quel nome?

"Io mi chiamo Javier, in quella squadra ce n'erano tanti. Questo allenatore aveva avuto mio fratello quando giocava a calcio e gli diceva Pupi. Allora quando sono arrivato ha detto 'Va beh, ti chiamo Pupi'. Ed è rimasto".

In Argentina ne avete sempre uno.

"Almeno uno. Ce l'hanno tutti. Poi sono divertenti".

Mai dato soprannomi a qualcuno?

"Walter Samuel, che è il muro. Io vedevo sempre quella faccia da difensore tenace e l'ho chiamato 'The Wall'".

A proposito dell'Argentina. Hai scritto un libro tra il tuo Paese d'origine e l'Italia.

"Sono 28 anni qui in Italia. L'Argentina è la mia terra, da dove sono partito. Da dove parte il mio sogno di diventare calciatore. Poi arrivare qui in Italia per me è stata una grandissima opportunità".

Avresti mai pensato che il tuo futuro ti avrebbe fatto vivere in Italia?

"No, era un'ambizione e un mio sogno. In Argentina noi guardavamo le partite di Diego (Maradona, ndr) quando giocava a Napoli e credo che in quel momento lì e in questo momento il calcio italiano sia molto ambito. E confrontarti con grandi campioni, per noi giovani, era una grandissima opportunità. La mia carriera credo sia stata molto veloce. Io iniziai in Argentina e dopo due anni mi arriva questa opportunità di venire all'Inter. In quel momento lì non ci potevo credere. Pensavo di iniziare a giocare in Argentina, magari dopo passo in una grande squadra. Poi se sono bravo e dimostro di essere all'altezza, magari mi arriva l'opportunità di andare in Italia, o in Spagna o in Europa. Mi è arrivata velocissima, avevo 20 anni. Siamo arrivati con Rambert, un altro connazionale. In quel momento lì potevano giocare tre stranieri. L'Inter aveva comprato Paul Ince, Roberto Carlos, Rambert e io ero il quarto straniero. Lo sconosciuto. Rambert era capocannoniere in una squadra importante. Ricordo la presentazione in terrazza Martini, un diluvio universale. Arrivo con le mie scarpe, sono passato in mezzo a tutti i giornalisti...mi guardavano ma nessuno sapeva chi fossi. Dopo quando sono salito al primo piano che ho salutato...(ride, ndr). Quando sono arrivato qui in Italia ho trovato il mio posto nel mondo. Subito mi sono innamorato. Qui ho potuto completare il mio percorso di crescita come calciatore e uomo. Da lì tutta la carriera all'Inter".

C'è stato subito affetto con i tifosi?

"Sì, questo feeling e amore fin dall'inizio. Perché mi vedevano come un bambino che faceva i primi passi e tutti mi volevano proteggere. Io questo l'ho sentito. E la prima cosa che ho sentito quando sono arrivato al primo allenamento era che l'Inter fosse famiglia. E questo senso di famiglia l'ho percepito subito".