Milito: "Le sterzate fanno parte di me, quella di Madrid mi è rimasta dentro. Ecco cosa ci disse Mourinho"

Milito: "Le sterzate fanno parte di me, quella di Madrid mi è rimasta dentro. Ecco cosa ci disse Mourinho"TUTTOmercatoWEB.com
giovedì 30 novembre 2023, 13:31News
di Marco Corradi

Diego MIlito interviene ai microfoni di DAZN, durante il format "Un'altra storia" condotto da Pierluigi Pardo, e si racconta ai microfoni del noto giornalista. Di seguito il racconto del suo rapporto col gol: "L'attaccante dev'essere sempre pronto in area. Quanti gol ho fatto nella mia vita? Non lo so, tanti per fortuna (ride, ndr). Ogni gol ha un'importanza che rimane per sempre, nella storia personale e del club, ma i gol sono tutti belli. Nel secondo gol di Madrid sembravo uno sciatore? Quella è una giocata che mi veniva sempre naturale, mi piaceva puntare l'uomo e fare queste sterzate. L'ho fatto in una partita importante, una finale, e sono quei gol che rimarranno per sempre. Per me, per l'Inter e i tifosi".

C'è tutta un'epica e una letteratura sui discorsi di Mourinho. Ce li racconti?

"José non è che lo scopro io, è stato un allenatore stupendo e straordinario, l'artefice di quello che abbiamo fatto tanti anni fa. Ha fatto dei discorsi fondamentali nei momenti giusti, è stato un grande gestore dei momenti e sapeva perfettamente tutto. Quando bastonare e quando dare carezze. D'altronde parliamo di un top allenatore, che ci ha dato tantissimo. Prima della finale ci ha fatto rilassare, credo che il discorso più bello sia stato a Barcellona prima del ritorno della semifinale. Era una finale anticipata, andammo lì con un bel vantaggio su un campo difficilissimo e tutta una partita da giocare ancora. Noi eravamo molto nervosi e lui era rilassato, tranquillo e sdraiato nello spogliatoio come se fosse in spiaggia. Era così perché, lo ha ribadito in seguito quando ne abbiamo parlato, il leader deve cercare di dimostrare tranquillità nei momenti d'ansia. Cosa ci ha detto? Ci ha chiesto di vincere la Champions per suo figlio, che non si ricordava quella che aveva vinto col Porto perché era troppo piccolino: è stato un momento carino. Negli spogliatoi ci disse che per noi era un sogno giocare una finale di Champions, per il Barça un'ossessione perché da catalani volevano vincere a Madrid. E quel sogno l'abbiamo realizzato".

L'asse argentino ha fatto la differenza in quell'Inter.

"Eravamo noi quattro: io, Samuel, Zanetti e Cambiasso. Con Chivu, Stankovic, Thiago Motta, i brasiliani e Julio Cesar formavamo un gruppo straordinario. Senza un gruppo così, non si vince".

Thiago Motta dà la sensazione di poter diventare un allenatore da grandissimo club. Te lo aspettavi quando giocavi con lui? 

"Potevo aspettarmelo perché, per il ruolo che ricopriva in campo, già era un allenatore. Sapeva e conosceva tutto del gioco, giocava in modo straordinario e da grande campione. Aveva in testa già il calcio e me lo potevo aspettare così bravo da allenatore. Sta facendo un grandissimo percorso, è giovane e ha ancora tanti miglioramenti da fare, ma concordo che possa diventare un tecnico da big".

Tornando al 2009/10, c'è un momento che ti viene in mente spesso, prima di andare a dormire?

"Tanti. Abbiamo vissuto tanti momenti indimenticabili, uno che mi viene in mente subito è lo scudetto vinto a Siena. Una vittoria molto sofferta, perché ce lo siamo giocati fino alla fine e lì ci siamo tolti un peso importante, dopo aver vissuto tutto un anno a rincorrere lo scudetto e lottare punto a punto con la Roma. E poi ovviamente la ciliegina sulla torta della Champions".

Quando si vive una gioia così grande non è facile cambiare allenatore, no?

"Non è facile, soprattutto dopo quella stagione: è arrivato Benitez, abbiamo fatto fatica ad adattarci. Molti di noi venivano dal Mondiale, non abbiamo dunque potuto prepararci come di consueto o vivere la preparazione migliore. I cambi d'allenatore portano sempre delle difficoltà e serve un tempo d'adattamento, che si è rivelato complesso per noi. Quando cominci così così, poi è dura riprendersi. Ma comunque, nonostante le difficoltà, l'anno successivo al Triplete abbiamo vinto la Coppa Italia, siamo arrivati ai quarti di Champions, abbiamo vinto il Mondiale per Club e abbiamo fatto secondi in campionato. Mourinho era ancora dentro di noi, non trovarlo più nello spogliatoio non era facile". 

Vi sentite ogni tanto con José? L'hai seguito a Roma? Ha instaurato un rapporto familiare con l'ambiente.

"L'ho visto a Roma l'anno scorso, sono passato dopo una partita. Abbiamo una chat tutti insieme, il legame con quel gruppo e con José continua". 

Parliamo di Lautaro. A che livello è arrivato?

"L'abbiamo visto tutti, stiamo parlando di un top player. Credo che abbia ancora tanto da dare, ci ha dimostrato il valore del giocatore che è, ma può ancora migliorare tantissimo. Credo che il suo grande valore sia quello di adattarsi al compagno di reparto: con Lukaku si è trovato benissimo ed ora con Thuram, che è molto diverso, stanno facendo grandi cose assieme. Sono felice di vedere dov'è arrivato perché lo conosco da bambino e ho seguito tutta la sua crescita al Racing. Si può dire che mi abbia sostituito e ci sia stato un passaggio di consegne: sono uscito io ed è entrato lui nel giorno del suo esordio. Lo conosco molto bene e mi emoziona vederlo a questi livelli. La cosa che mi impressiona di Lautaro è la sua testa, la voglia di continuare a crescere e raggiungere certi obiettivi. Ha una mentalità da grande campione, che non si accontenta mai: dopo la finale di Champions e il Mondiale sta facendo qualcosa di straordinario. Non è un caso che sia il capitano di questa squadra". 

Le partenze di alcuni giocatori e la fascia da capitano sembrano averlo responsabilizzato ancora di più.

"Sicuramente la fascia da capitano ti fa crescere e ti responsabilizza, ma tutto parte da lui. Ha una maturità da grande giocatore, si sente importante nella squadra e nella società. E poi come gioca: è il punto di riferimento di questa Inter".

Quanto è distante questa Inter da quella del Triplete?

"Non mi piace fare paragoni, sono momenti diversi, giocatori ed epoche diverse. Questa Inter mi piace molto, non è un caso se è arrivata in finale di Champions. L'ha persa contro una grande squadra com'è il Manchester City, ma ha giocato una grandissima finale e avrebbe anche meritato di vincerla. Credo che quella gara e quella sconfitta le abbiano dato la consapevolezza e la grinta per fare il percorso che stanno facendo e per crescere ancora. I risultati si vedono, guidano in Serie A e giocano ancora meglio". 

Non c'è un tifoso che non sia orgoglioso della finale, nonostante si sia perso. Sembra che la squadra si senta addosso questo orgoglio e sia cresciuta, con l'obiettivo di tornarci in finale

"Sono d'accordissimo. Credo che si sapesse che era una partita difficilissima, perchè di fronte c'era una squadra che era l'assoluta favorita. Credo che, pur avendo perso, quella gara abbia dato la consapevolezza che l'Inter fosse una squadra matura per vincere la Champions e giocarsi il trofeo". 

Tornando a Lautaro, vi sentite ancora? Vorresti giocare con lui?

"Ora io non posso giocare più (ride, ndr), dopo dieci minuti mi sento malissimo. Godiamoci i grandi campioni come Lautaro. Ci sentiamo, ho un grande rapporto con lui e gli voglio bene. All'inizio gli davo qualche consiglio, lui sa ascoltare e questo è un grande pregio. L'ho conosciuto che aveva 16-17 anni e si capiva subito che era un giocatore diverso, con una testa e una maturità che gli consentivano anche di chiedere consigli ed osservare tutto al termine degli allenamenti". 

Per voi argentini non è un brutto momento, col Mondiale e quant'altro...

"Credo che Diego ci abbia dato una bella mano... Io mi chiamo Diego Alberto Milito, DAM come Diego Armando Maradona e mio padre l'ha fatto un po' perchè era malato di Diego. Maradona resta sempre nei nostri cuori, per noi è stato un supereroe. Io l'ho avuto come allenatore in un Mondiale, con Messi come compagno, e mi sento fortunatissimo per ciò che ho vissuto in Sudafrica. Tutti da piccoli volevamo essere come lui, ci ha dato tantissime emozioni e rimarrà per sempre un idolo". 

Poteva essere un'altra storia, la tua vita, se non avessero lanciato quel contratto col Genoa all'ultimo secondo del mercato?

"Quella è stata una scena incredibile, chissà cosa sarebbe successo se non fossi andato al Genoa. Quelle settimane sono state durissime perchè avevo quasi un accordo con una squadra inglese, il Tottenham, che mi piace per Ardiles e per Julio Ricardo Villa. Eppure, non so perchè, non ero totalmente felice e soddisfatto. Un giorno prima della chiusura del mercato mi chiama Preziosi e mi chiede: vorresti tornare al Genoa? Lì, secondo mia moglie, mi si è trasformata la faccia. Sentivo che dovevo tornare al Genoa a finire un percorso. Ho sempre fatto le scelte col cuore, abbiamo fatto velocemente tutta la trattativa e ho detto al presidente del Saragozza che io volevo solo tornare al Grifone. Alla fine, per fortuna, si sono messi d'accordo e hanno depositato all'ultimo secondo. Io dico sempre che quando prendi le decisioni col cuore, tutto va bene". 

Genova e Marassi ti hanno dato tanto

"Sono grato al Genoa perchè mi ha dato la possibilità non sono di arrivare in Italia, conoscendo questo paese e il calcio italiano, ma anche di essere coccolato e apprezzato come in una famiglia. Sarò sempre grato a quella città, il legame continua. Ed essere a due passi dal mare è bellissimo".

Cosa fai nel tempo libero?

"Mi piace la spiaggia e mi godo la famiglia. Ora gioco a padel, che è uno sport molto gettonato adesso ed è un bellissimo sport. Poi mi godo i miei figli". 

Qual è lo stadio più caldo che hai vissuto in carriera?

"Sono stati tanti. In Argentina si vive il calcio in maniera particolare, ma anche in Italia ci sono stadi che mettono moltissima pressione o sono bellissimi. Uno stadio che per me è stato straordinario è il Bernabeu: ho giocato la semifinale di Copa del Rey col Saragozza lì, dopo aver vinto 6-1 in casa, e perdemmo 4-0 rischiando di andare fuori. Io non ho mai visto uno stadio così caldo come in quel giorno. Ho giocato il derby a Marassi, ho giocato alla Bombonera, ho giocato a San Siro. Ma quella partita ancora me la ricordo, dopo dieci minuti perdevamo tre a zero e dopo dieci secondi Cicinho l'ha messa all'incrocio. In venti minuti non abbiamo toccato palla, al Bernabeu veniva giù lo stadio. Abbiamo rischiato tantissimo". 

Collezioni maglie?

"Tantissime. Ho un museo a casa a Buenos Aires. Mia moglie ha sempre tenuto tutto, dalle magliette ai cartellini, ed ho messo tutto in una sorta di musei personale. La maglia della finale è lì, non avrà mai un prezzo. Appassionato di auto? Mi piace guidare, ma non sono un fanatico".