Vietato nascondersi dietro la "Maledizione Shakhtar"
Nascondersi dietro all’artificio retorico della “Maledizione Shakhtar” appellandosi alle occasioni fallite per arrivare ad una vittoria che sarebbe stata di fondamentale importanza per il prosieguo del cammino dell’Inter in Champions League, rappresenterebbe l’anticamera dell’ennesimo fallimento europeo per l’universo nerazzurro. Ciò che al contrario non deve mai fare difetto a Simone Inzaghi e di conseguenza all’Inter, deve essere piuttosto quel lavoro di minuziosa analisi che al contrario consentirebbe ai milanesi di comprendere e recidere le motivazioni tattiche e mentali che hanno portato al secondo tempo di Kiev, per distacco i peggiori 45 minuti disputati dal cambio di guida tecnica in poi.
Se la partita contro l’Atalanta aveva messo in mostra un’intelaiatura di gioco godibile ed efficace nel suo dinamismo e nella sua qualità, i nerazzurri sono parsi totalmente imbrigliati nell’ultima uscita continentale, ed incapaci di mettere all’angolo l’avversario con l’incedere della propria manovra offensiva. La rinuncia ad un centrocampista tecnico come Calhanoglu può rispondere solo in parte ai quesiti di cui sopra, anche in relazione alla prestazione incolore di Vecino, mentre la carenza di alternative al gioco manovrato potrebbe al contrario evidenziare qualche verità in più.
Se lo scorso anno il baricentro della squadra era decisamente più basso, in virtù della presenza di un giocatore come Lukaku potenzialmente in grado di percorrere 40 metri palla al piede trascinandosi impetuosamente le difese avversarie come un uragano; la presenza di Dzeko in coppia con Lautaro Martinez obbliga di fatto a scelte di gioco differenti improntate sugli scambi nello stretto e sulla qualità tecnica più che sullo strapotere fisico ed atletico. L’infortunio di Correa ha di fatto privato l’Inter di uno dei pochi calciatori a disposizione in grado di poter fare la differenza anche dal punto di vista delle “fughe in solitaria” e non è un caso che le poche sortite offensive di fine match siano state partorite proprio dall’atletismo e dalle accelerazioni del “Tucu”. Il ritorno a pieno regime dell’argentino potrebbe quindi fare la differenza in quelle serate in cui il gioco di squadra latita e l’intuizione del singolo diventa fondamentale. A patto che non diventi una consuetudine, e soprattutto a patto che le infinite qualità di Correa vengano messe al servizio della squadra e valorizzate. In questo senso, Simone Inzaghi è la garanzia più solida che l’Inter possa avere.
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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