Ridimensionamentecion

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domenica 29 agosto 2021, 18:23Editoriale
di Gabriele Borzillo

Ridimensioniamoci, tutti. Perché, alla fine, abbiamo vinto con un Genoa mal messo, tante assenze, molti giovani, andrà in B (questa è la migliore, tutti veggenti), non ha giocato, non è sceso in campo, più una lunga serie di ovvietà che Catalano, al confronto, era logico e lapalissiano. In più, venerdì sera, con un secondo tempo nel quale l’Inter ha concesso zero (o uno, non ricordo) tiri in porta agli avversari, abbiamo comunque battuto una squadra di media classifica, che Di Francesco parte sempre male, che primo tempo in confusione (tiri del Verona uno, regalo di Samir, e poco altro), che se scendete in campo così con le grandi ci sarà da ridere. Forse; anzi, sicuramente. Per adesso però preferisco commentare una squadra che vince le partite nelle quali deve vincere per forza e blasone, segna sette reti con sei diversi marcatori ma cosa vuoi che significhi, proprio niente, è guidata da un giovanotto di belle speranze capace di indovinare i cambi e mutare l’ordine delle cose senza guardare in faccia nessuno. Perché sostituire Brozo, autore di una prestazione incolore come gliene capitano un paio a stagione quindi una archiviamola, con Vidal, non era da tutti. Perché scommetto un piatto di cozze alla marinara che molti avranno storto il naso pronunciando il fatidico “quello lì non capisce un cazzo”. E il cambio di Lautaro? Tra i due davanti, parliamoci chiaro, il più pericoloso, testardo nel cercare la via della rete, concreto, senza troppi frizzi e lazzi sul pallone era proprio il Toro. Invece Simone lo chiama in panca, entra Correa, i due si abbracciano, Inzaghi abbraccia Lautaro che non prende a calci nessuna bottiglietta. Guardate, non è la cronaca del fantastico mondo di Appiano Gentile.

È la semplice constatazione di una realtà poco frutto della fantasia di chi scrive e molto attendibile. Tenete presente che l’Inter, squadra intendo, si è già ritrovata tre volte dal dieci agosto in un noto locale per cenare tutti insieme: questo fa un gruppo di amici prima che professionisti del pallone. Uno degli organizzatori, uno dei fautori, è Lautaro: sì, avete letto bene, il ragazzo che vuole andarsene, sempre secondo chi conosce i segreti meandri del mondo nerazzurro. A me non sembra ma io non conosco nessuno, ci tengo a precisarlo. L’esempio Verona è quanto mai calzante: quarantacinque minuti da leggero (eufemistico) imbarazzo, due passaggi di fila non riusciti escludendo il primo quarto d’ora, eppure non ho visto nessun giocatore nerazzurro sfanculare il compagno. Anzi. Semmai ho visto calciatori rincorrere l’avversario che il pallone lo aveva riconquistato senza essere necessariamente colui che lo aveva perso. Insomma, ci sta giocar male, incappare in una serata storta, questa era l’impressione dopo il brutto primo tempo. Ci sta tutto nel calcio, è sport, non dipende dai massimi sistemi né, per fortuna, da scienze esatte. L’intervallo ci ha riconsegnato una squadra diversa: convinta, sicura, forte, non dico completa perché qualcosa manca, davvero non molto. Il successo finale non è meritato, piuttosto meritatissimo, con buona pace di chi ha visto altre partite e, soprattutto, sorvolando pilatescamente sul varista Irrati, capace di non segnalare un rigore solare subito da Lautaro all’arbitro Manganiello, fin lì ottima direzione di gara la sua, in quel frangente coperto e lontano dall’azione.

Sì, dai, insomma, non è che ci siano da fare salti di gioia e innalzare peana agli dei del pallone. L’Inter procede nell’apprendistato. Perché è una squadra diversa da quella dello scorso campionato, con interpreti diversi, allenatore diverso, schemi diversi. A me, parlo per me, piace e convince. Continuo imperterrito a pensare di essere, se non la favorita, diciamo una delle due favorite alla vittoria finale.

Anche perché, mantra del mese agostano, se l’Inter è ridimensionata, cos’hanno fatto le altre di così eclatante?

Alla prossima.