Gli strani fatti di questi giorni e il prossimo futuro dell'Inter

E’ accaduto di nuovo. Come nel 1967, quando l’Inter di Herrera perse tutto in dieci giorni e terminò definitivamente il suo ciclo. I calendari all’epoca erano diversi e il dramma sportivo si consumò al contrario, partendo dalla Coppa Campioni, quando in finale l’Inter partì bene con Mazzola si ritrovò senza forze dopo un solo tempo e perse 2-1 col Celtic. La settimana seguente, il 1°Giugno, l’Inter, in testa alla classifica si presentò a Mantova e perse 1-0 a causa di una clamorosa papera di Sarti e una partita anonima. Il 7 giugno si fece eliminare dalla semifinale di Coppa Italia dal Padova (3-2 il risultato finale).
Quel disastro segnò la fine della Grande Inter.
All’Inter “piace” molto la spettacolarità della tragedia sportiva. Il 5 maggio 2002 e l’aprile 2011, quando l’Inter era arrivata a rimontare in classifica ma, in tre giorni, si era fatta battere nel derby 3-0 e umiliare in casa dallo Schalke con un 2-5.
Oggi la situazione è diversa perché non è stato vinto quanto era possibile ma non sono nemmeno stati fatti investimenti, a differenza di altri club che hanno messo sul mercato 150/200 milioni. E parliamo solo di Italia perché se confrontiamo gli investimenti dell’Inter con i top club europei non c’è nemmeno da iniziare la discussione. Eppure la narrazione è rimasta inspiegabilmente legata all’obbligo di vittoria.
La modalità con la quale la squadra ha perso ha rovinosamente cambiato la percezione e il senso delle cose.
Andiamo per gradi.
Nessuno era pronto a questa realtà parallela nella quale l’Inter ci ha precipitati.
Solo poche settimane prima stavamo vivendo una dimensione solare, ricca di ottimismo e fiducia nel futuro, qualunque esso fosse. La percezione era opposta a quella che è calata come un’ombra nera nel giro di 72 ore.
L’ambiente nerazzurro era deluso ma non devastato per aver perso la testa della classifica, dopo la sconfitta interna con la Roma. Il successo a Monaco aveva entusiasmato i tifosi e in fondo mancava ancora qualche partita e tutto poteva ancora accadere. Il fatto è che il Napoli ha tentato ben due volte di perdere lo scudetto e aver pareggiato in casa con la Lazio ha fatto crollare emotivamente squadra e tifosi.
Il secondo tempo di quella partita è stato sconcertante, la beffa del rigore nel finale deve aver definitivamente devastato la squadra, molto più di quanto si immaginasse.
Nei giorni successivi le interviste ai giocatori sono parse prive di entusiasmo, le parole di Inzaghi professionali ma opache, prive di empatia. I giorni che hanno preceduto la finale sono stati da una parte meravigliosi ma più dimessi di due anni prima. Le polemiche dei tifosi per i biglietti, l’assenza dei maxischermi, se non a pagamento, soprattutto una pressione esagerata che ha chiuso i conti. Ai giocatori è arrivato forte e chiaro il concetto che se avessero perso anche la finale sarebbe stato un fallimento.
Quelli che sono entrati in campo sabato erano giocatori mentalmente disconnessi, fisicamente asciugati, tatticamente orfani.
La partita sabato non è stata giocata. I giocatori vagavano per il campo, sbagliavano passaggi in orizzontale, rinvii mandati in fallo laterale, marcavano a distanze siderali, non vincevano un contrasto, facevano falli stupidi, ne subivano altrettanti ma senza punizione, non correvano. Proprio non correvano.
Inspiegabile.
La proporzione del punteggio è stata devastante per tutti e ha innescato il temuto isterismo che ha condizionato scelte, giudizi e tutto l'ecosistema Inter.
Tre giorni dopo Inzaghi ha ascoltato la società ma aveva già deciso di andarsene. Perché non aveva più forze, ha riferito. La realtà delle cose suggerisce altre spiegazioni.
All’Inter quando piove, grandina. Il fatto che sia stato Inzaghi a lasciare e non la società a lasciarlo a casa e che la dirigenza si sia trovata impreparata, nonostante tutti sapessero che Inzaghi aveva già un accordo con gli arabi, ha lasciato interdetti.
La trattativa con Fabregas, con Vieira seconda scelta, senza considerare Mancini o allenatori con maggior esperienza, mostra distintamente la nuova politica di Oaktree che vuole un giovane allenatore come Arteta per l'Arsenal o Vincent Kompany per il Bayern.
L'Inter ha appena preso due giocatori di 21 e 23 anni ( Luis Enrique e Sucic) e vuole acquistare altri tre under 23. La scelta politica di puntare sui giovani ha una logica, purché non sia, come sembra, integralista.
La strada che ha preso l'Inter, al di là delle rassicurazioni di Marotta, è comunque rischiosa.

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