Finisce il ciclo più bello, più discusso, più ingiusto. Ora rivoluzione, con paletti (anche tattici)

Simone Inzaghi saluta quattro anni dopo: uno scudetto, due finali Champions perse di cui una malissimo, +114 milioni sul mercato. È uno dei tanti dati di partenza di qualsiasi analisi di un ciclo in cui l’Inter ha giocato a calcio divinamente, e non ha vinto quanto avrebbe potuto. O forse non poteva vincere quello che ha illuso di poter conquistare.
In questo, è il ciclo più ingiusto. Perché a Inzaghi sono state rimproverate tantissime cose, e troppo poco si è sottolineato il materiale umano con cui ha lavorato. Non carente, ma che l’Inter abbia avuto davvero la squadra più forte di tutte è tutto da dimostrare. Non è una critica alla dirigenza, che come l’allenatore in questi quattro anni ha dovuto spesso fare le nozze con i fichi secchi. La riprova, però, la offrirà il suo successore, chiunque sarà: non è per niente scontato che l’anno prossimo l’Inter parta ancora per vincere.
A prescindere dal tecnico - Fabregas e De Zerbi i due nomi in prima fila -, la questione è una: Monaco ha segnato un punto di non ritorno. E la squadra va rivoltata come un calzino, rispettando alcuni paletti. Quelli economici cambieranno, ma ne restano: giovani, costosi ma non troppo, futuribili più che campioni affermati. L’identikit di Oaktree per i nuovi acquisti è decisamente chiaro. Altri paletti tecnici: nella rivoluzione, il nuovo modulo non potrà essere tanto diverso da quello Inzaghi. Lo condizionano due fattori, che si chiamano Bastoni e Dimarco: in uno schema che non sia al massimo il 3-4-2-1 (peraltro tentato anche da Inzaghi di recente), rischierebbero di non risultare così determinanti. È una delle tante linee guida per decifrare il mercato che sarà.
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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