Date a Simone quel che è di Simone (per non parlar di Hakan)
Alzi la mano chi si aspettava tanta grazia. No, davvero, la alzi per cortesia, senza mentire spudoratamente, senza accodarsi all’odioso carro fingendo di averlo occupato fin dal principio. Mica c’è niente di male nel riconoscere di aver snobbato l’arrivo di Simone Inzaghi, relegandolo quasi a ruolo di passacarte e poco altro. Perché tra le righe, non solo dei tifosi che fanno i tifosi ed è giusto esprimano opinioni e pareri anche trancianti, questo leggevo e ascoltavo la scorsa estate. Al netto delle griglie di partenza dove l’Inter era relegata, a memoria, in terza se non in quarta fila, mai dimentichi dell’arcinoto ridimensionamento. Un potpourri di certezze dettate non si sa bene da cosa, forse semplici intuizioni che più sbagliate di così non potevano essere. Simone (abbia pazienza, i familiari li chiamiamo per nome) a cui per necessità e sfortuna hanno tagliato rami importanti dell’Inter scudettata, non si è perso d’animo: ha iniziato a lavorare. Senza strali verso la dirigenza, senza creare polemiche, senza rinfacciare sì, vabbè, però non era questo ciò che mi avevano promesso. Il giovane Inzaghi, particolare credo sfuggito a molti, forse troppi, è uno che, in pieno dominio bianconero, ha non solo spesso e volentieri infastidito la Juventus ma l’ha battuta, impreziosendo la bacheca laziale con due Supercoppe italiane e una Coppa Italia. Poca roba, obietteranno i soliti noti o chi non vuol vedere oltre il proprio naso. Tanta roba, replico io. Perché basta andare a leggersi le formazioni dell’epoca per capire che Simone ha compiuto vere e proprie imprese pallonare. Poi, per carità, ciascuno è libero di continuare a pensare ciò che meglio crede, mica siamo qui per convincere nessuno.
L’Inter gioca. L’Inter domina il campo in lungo e in largo, deliziando gli occhi attoniti di una tifoseria abituata a soffrire spesso e pure volentieri, una sorta di masochismo inspiegabile che tanto ci piace. Così questa nuova situazione sorprende: come, novanta minuti di tranquillità? E che succede? In quale universo parallelo siamo? In fondo il tifoso nerazzurro, per quanto questa squadra stia imponendo sé stessa come raramente mi era capitato di vedere in precedenza, pensa: e magari, sia mai, lo scivolone...io, tocco ferro e tutto il resto, ho come la sensazione di maturità raggiunta e attraverso il successo della passata stagione e, soprattutto, un gioco che diverte e fa divertire gli interpreti, i calciatori. Quindi d’accordo, grazie infinite a chi c’è stato. Ma questa è l’Inter di Simone Inzaghi e con quella precedente, perdonatemi, c’entra assai poco. Chiaro, convinzione nei propri mezzi e capacità viene dallo scudetto cucito sul petto, negarlo sarebbe tanto sbagliato quanto scorretto. Ma questi ragazzi hanno impressionato e continuano a impressionare per come rendono semplice qualunque giocata, anche la più complessa. La palla gira molto più velocemente del passato, gli attori sembrano sapere prima ancora di riceverla cosa farne immediatamente dopo. Emblema di questo nuovo corso? Hakan da Mannheim, talentuoso portaborracce del centrocampo, cuore e polmoni, piedino educatissimo tanto da essere soprannominato, in Germania, il Dio delle punizioni, specialità nella quale a livello europeo è secondo, negli ultimi nove anni, solo a un certo Leo Messi. Così, per dire.
L’ho scritto, detto, ripetuto spesso e volentieri. Non so se l’Inter vincerà qualcosa alla fine della stagione. So però che, per certo, i nerazzurri sono una squadra, indipendente dai singoli, dove fuori uno dentro l’altro cambia poco, anche nulla. E, quando la guardo giocare, non ho più paura.
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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