Perché Inter-Barcellona è la partita più esaltante della storia nerazzurra

Perché Inter-Barcellona è la partita più esaltante della storia nerazzurraTUTTOmercatoWEB.com
Oggi alle 11:12Editoriale
di Lapo De Carlo

Il titolo suggerisce un pensiero venuto in mente a tanti, persino al sito della Uefa che attraverso i suoi canali social ha chiesto in modo entusiasta se la semifinale tra Inter e Barcellona fosse la più bella partita dell’intera storia della Champions. La sola proposta fatta dagli organizzatori ha fatto gonfiare il petto di tutti i tifosi nerazzurri, perché fino a quando ce la si suona e si canta tra noi ha un valore di auto esaltazione che fa parte della dialettica del tifo. Qui invece attraverso la testimonianza di campioni del passato, opinionisti, i radio e telecronisti delle radio e televisioni collegate, titoli dei giornali stranieri, milioni di spettatori e la UEFA, società organizzatrice del torneo, è arrivato un plebiscito spontaneo, un riconoscimento del valore di una partita e, al tempo stesso, dell’Inter come club e dimensione dei suoi giocatori.

Vedere Henry che intervista Frattesi e ridere con lui al termine di un match o i telecronisti francesi che si esaltano con Sommer, quelli di mezzo mondo che urlano al gol di Acerbi e migliaia di video che arrivano dall’Africa con tantissimi tifosi davanti a maxi schermi mentre assistono alla partita, le immagini dal Sudamerica e di mezza Europa che commenta estasiata la bellezza del match, vale tanto quanto la vittoria.
L’immagine dell’Inter nel mondo, per svariate ragioni legate soprattutto alla superficialità e il luogo comune perpetuo, oltre che di un retaggio quasi impossibile da estirpare (italiani catenacciari), infastidiva perché una volta raggiunti grandi successi l’accostamento ai migliori club del mondo era sempre in perdita.



Il gap incolmabile tra il calcio spumeggiante del Barcellona di turno e quello onesto e più furbo all’italiana sembrava sempre deporre a favore dei rivali.
Questa volta invece non è stato solo il successo ma la qualità del gioco, i sette gol rifilati ad una squadra che cerca di metterti all’angolo schiacciandoti in una gabbia immaginaria, caratterizzata da un reticolato di passaggi, possesso, fuorigioco altissimo e verticalizzazioni impressionanti.
L’Inter ha vinto perché ha visto parecchie fessure in quella gabbia.
E poi c’è l’emozione. Se avesse vinto 2-0 o 2-1 riuscendo a gestire, pur con sofferenza, la ripresa ci sarebbe stata una legittimazione ancora diffidente. Sette gol al Barcellona, facendone dunque uno più dell’avversario, come nella filosofia dei catalani, ha elevato il rango, nobilitato la squadra di Inzaghi.
La successione delle reti e i supplementari, come in Italia-Germania 4-3 ha definito l’epica e trasformato questa semifinale in uno spettacolo per tutti.
Va anche aggiunto che l’Inter deve cercare di ottenere il massimo in termini di ingaggio dei tifosi nel mondo.

Se parliamo di grandi partite nella storia della Champions, con clamorosi ribaltamenti di fronte, prima di questa sfida, le più emozionanti sono state Ajax-Tottenham, semifinale del 2019, con gli Spurs sotto 2-0 dopo aver perso all’andata 1-0 in casa, capaci di ribaltare gli olandesi con tre gol di Lucas Moura, andando in finale. Viene in mente la rimonta impossibile del Barcellona proprio contro i nostri rivali del 31 maggio, quando al Nou Camp il Barca, che aveva perso 4-0 a Parigi, rimontò in modo devastante vincendo 6-1.
Impossibile però non riconoscere che tra le partite più esaltanti spicca l’ottavo dell’Inter col Bayern nel 2011, con la rimonta nel finale e il 2-3 all’Allianz, grazie alla rete di Pandev.


C’è infine un grande equivoco in mezzo alle storie meravigliose che si sono sovrapposte nella serata indimenticabile di martedì. Avere la mentalità vincente non significa vincere sempre. Il fatto di aver perso due finali europee in questi anni e aver dato la sensazione di aver lasciato per strada due scudetti, ha generato un dibattito intorno alla figura di Inzaghi, il quale si trova al centro di un dibattito sulla sua eventuale grandezza o il ridimensionamento al rango di “buon” allenatore.
Chi fa questo gioco non tiene mai, mai, mai conto di quello che è successo all’Inter in questi anni, tra tre cambi presidenziali, problemi di gestione, debito importante, mercati al risparmio, cessioni dolorose e necessarie (Hakimi) e situazioni eccezionali (Eriksen e il secondo Lukaku). Se si vuole fare un buon servizio alla verità si tenga conto di tutti i fattori, senza distribuirli in base alle proprie teorie per darsi ragione.
La mentalità che ha dato Inzaghi è diversa da Conte, a cui è stato accostato tutta la stagione, ma se in Italia gli rimproverano di aver qualcosa in meno si rifletta anche sul ruolino europeo dei due.
Anche perché se l’Inter oggi si appresta a giocare un’altra finale lo deve proprio alla mentalità.