La logica dell’Inter e un paio di misteri
Quando una squadra costruisce la propria reputazione con scudetti, finali, coppe Italia e Supercoppe nel giro di pochi anni ci si fida della sua natura, si comprende più facilmente la logica che spinge la società a prendere una direzione, anche se non sempre popolare.
Ho sempre amato parlare dell’Inter per quella sua personalità bizzarra, sfuggente, romantica e dunque poetica, che la rende umana, con quell’animo controverso e la struttura imperfetta, eppure armoniosa e sfuggente.
Oggi che ha una dimensione differente, più al passo dell’élite calcistica, si distingue per robustezza, viene blandita per la qualità della dirigenza e del suo organico e non ci si appassiona nemmeno più alle questioni della presidenza.
Oaktree è ancora una sfera impenetrabile e non ancora definibile ma non fa paura. Sembra andare allo stesso passo dei dirigenti, va persino allo stadio sotto forma di Katherine Ralph, facendosi travolgere dall’entusiasmo del neo presidente Marotta.
L’aspetto ontologico legato alla nuova natura dell’Inter racchiude aspetti visibili e per questo discutibili, insieme ad altri invisibili, che appartengono al segreto legittimo della dirigenza.
Funziona tutto così bene che quando c’è un problema sopraggiunge prima lo stupore e poi si traggono le conclusioni.
Ho trascorso l’estate diffidando dai salamelecchi verso l’Inter. E’ bellissimo sentir parlare bene di qualcosa o qualcuno che ami, ma è anche il presupposto per esporre il destinatario delle lusinghe a critiche più feroci del lecito e commenti più squilibrati del dovuto. Con la sottile percezione che anche l’ambiente respiri questa dimensione celestiale, e la squadra entri in campo con troppa glassa intorno al cuore.
Detto, fatto. Il pareggio bugiardo di Genova, con due gol autoinflitti contro una formazione che di attaccanti non ne aveva, rivela la consueta Inter dominante ma anche lenta e, inesorabilmente più vecchia di un anno.
Non si tratta di sazietà ma di un temporaneo problema di corrente elettrica. Un tema che lo stesso Bastoni ha segnalato riguardo la concentrazione con stagioni infinite. L’intervento è terminato sui social dove, immancabilmente, è partita la banda del web con un’escalation retorica e gli immancabili riferimenti ai chi prende 1300 euro al mese. Può darsi che il paragone con chi fatica ad arrivare alla fine del mese possa anche essere proposto vigorosamente ai giocatori, resta il fatto che disputare 50/60 partite all’anno, pretendendo un rendimento sempre elevato non è ragionevole.
A prescindere da quanto guadagna qualsivoglia giocatore.
Un altro aspetto che sorprende nel mezzo dell’efficienza dirigenziale ad esempio riguarda la quarta punta, che, a meno di colpi di scena clamorosi, non arriverà. Ammanettati a Correa e Arnautovic, ci si ritrova con cinque attaccanti che fanno rima con tre.
Stona il fatto che non si riesca a lanciare un giovane, complice l’assenza della squadra Under 23 che permette di far maturare più in fretta i giocatori (chiedere ad Atalanta e Juve a riguardo). Il problema, dice Marotta, è infrastrutturale, ma va risolto in fretta perché i vantaggi sono evidenti.
Infine un piccolo mistero sul sostituto di Buchanan, che sembrava imminente, con nomi come Hermoso o Ricardo Rodriguez i quali dai primi di luglio sono spariti dai radar. Nessuna notizia, nessuna indiscrezione
Verso la fine del mercato è arrivata la notizia di Palacios, 21enne argentino che ama molto entrare in scivolata, ha un fisico non molto dissimile da Bastoni e ha anche un buon tiro. Si tratta più di un’alternativa a sinistra e ha il pregio di essere finalmente e realmente un giovane.
La conferma del suo acquisto per un reparto invecchiato parecchio al centro, rappresenterebbe una bellissima notizia.
Sabato sera Pavard tornerà titolare ma Bisseck merita spazio, la sua crescita è evidente, anche se dirlo dopo Genoa-Inter è altamente impopolare. Resta la curiosità di vedere il francese nel ruolo di centrale, con Bisseck e Bastoni a comporre la difesa, considerando che era stato lui medesimo a candidarsi per quel ruolo, ma resta per ora un piccolo mistero di una macchina di cui oggi ci fidiamo a prescindere.
Amala
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