L’Inter ha vinto di corto muso contro una Juve che assomigliava sempre più ad un Ascoli qualsiasi

L’Inter ha vinto di corto muso contro una Juve che assomigliava sempre più ad un Ascoli qualsiasiTUTTOmercatoWEB.com
martedì 6 febbraio 2024, 23:05Editoriale
di Gian Luca Rossi

Vi confido un segreto: al 37° minuto di Inter-Juventus, mentre facevo la telecronaca per Telelombardia ed emittenti collegate, subito dopo l’autorete di Gatti, sono stato assalito da un desiderio irrefrenabile: ho sperato finisse così. Si con l’1-0, di misura e di corto muso, ossia la proverbiale arma di Allegri, su autorete bianconera per di più. 

E mentre l’Inter continuava a strapazzare la Juventus, sfiorando in più occasioni il raddoppio, mentre Yann Sommer restava pressoché inoperoso, perché se ad un certo punto si fosse accomodato sugli spalti tra i 75.547 spettatori con la Juve che non tirava mai in porta nessuno se ne sarebbe accorto, mentre la Juve assomigliava sempre più ad un Ascoli qualsiasi, ho sperato che il corto muso venisse sancito dal fischio finale dell’arbitro Maresca, che è stato bravo, aiutato anche dai calciatori di ambo le parti. 
Alla fine sono stato accontentato. 

Troppo bello dominare in lungo e in largo la Juve, ma batterla di corto muso e spiego perché.
Per come me la immagino io, mentre i bianconeri tornavano in pullman a Torino, lo stesso pullman messo davanti alla loro porta per 95 minuti, non può essere venuto loro il dubbio che, se avessero osato di più, magari non sarebbe finita così.
Oddio, magari avessero giocato più aperti, con più coraggio, di gol forse ne avrebbero presi tre, ma è cinicamente psicologico immaginarseli ad arrovellarsi su tale dubbio. 

Perché in una squadra, certi tarli possono farti perdere autostima, quella che ti sei faticosamente guadagnato restando comunque incollato all’Inter, che continua ad avere un percorso nettamente sopra la media, ma che solo adesso può ipotizzare la fuga.
L’anno scorso un dilemma simile attanagliò proprio l’Inter: per buona parte della sua stagione ci si chiedeva come fosse possibile che la stessa difesa che oggi è arrivata a 20 clean sheet su 31 gare complessive, potesse prendere gol da chiunque.
Poi i nerazzurri i loro guai li risolsero a primavera inoltrata, quando ancora non si è capito bene come, riuscirono a trovare quella convinzione che li condussero fino alla finale di Champions League e che perdura ancora oggi. 
La convinzione, l’autostima nel calcio di oggi, se non tutto, sono comunque moltissimo. E perché la fuga dell’Inter diventi reale, visto che manca ancora un’eternità al traguardo, 15 partite con 45 punti in palio, 16 con 48 punti per i nerazzurri con il recupero con l’Atalanta a San Siro il prossimo 28 febbraio, serve che chi insegue subisca un vero contraccolpo. 

Ora c’è da capire come Allegri e la sua Juventus vivranno, più che la sconfitta con l’Inter a San Siro, che ci può stare, l’assoluta incapacità di impensierire la squadra di Inzaghi, davanti a 180 Paesi collegati nel Mondo. 
Perché è fisiologico che anche i nerazzurri possano incorrere in qualche mezzo giro a vuoto, ma se chi è dietro non avrà più la forza di approfittarne, è chiaro che la strada per l’Inter sarà tutta in discesa.
Quello che più mi ha colpito in Inter-Juve, a parte l’immediato nervosismo di Vlahovic, che era in grande condizione ma che deve aver capito al volo che con Acerbi non l’avrebbe praticamente mai vista, sono stati i minuti di recupero, quando i bianconeri hanno perso secondi preziosi persino nel battere una rimessa laterale, scambiandosi il pallone tra loro, come la gara fosse sullo 0-0. E che dire sull’ultimo corner, in cui mi sarei aspettato che Szczęsny, migliore in campo dei suoi con due miracoli su Barella e Arnautovic, salisse a fare l’attaccante aggiunto nel mischione finale in area interista. Lo aveva fatto pure Montipò, il portiere del Verona, a San Siro il 6 gennaio scorso nel disperato tentativo di recuperare lo svantaggio! Invece il portierone polacco è rimasto a difesa della sua porta: inconcepibile.

E forse questo atteggiamento rinunciatario anche nel finale è già stato un primo segnale del contraccolpo psicologico subito dalla Juve, insieme alla inevitabile pressione sentita dai giovani Yildiz e Cambiaso, praticamente paralizzati dalla paura che San Siro nerazzurro riesce ad incutere in certe notti. D’altronde, se uno ripensa alle sontuose giocate di Pavard e Çalhanoğlu, due a caso, c’è da capirli.