Dimarco è una specie protetta
Il primo scontro diretto di questa stagione, con l’Atalanta a San Siro, l’Inter non lo ha vinto. Ma per ora è andata meglio di un anno fa, visto che l’Inter di Antonio Conte aveva perso il Derby alla quarta giornata. Anzi, per dirla tutta, di questi tempi non aveva vinto nemmeno altri due scontri diretti, con la Lazio e con l’Atalanta, pareggiati entrambi per 1-1 alla terza e alla settima giornata. L’anno scorso si è dovuto aspettare quasi Natale per vincere il primo confronto diretto, di misura sul Napoli a San Siro, ma questo non ha impedito all’Inter di Conte di vincere lo Scudetto con 12 lunghezze di distacco sul Milan secondo.
Insomma, per ora non mi preoccupo, anche perché il 2-2 con l’Atalanta è stato talmente rocambolesco da non poter fare ‘giurisprudenza’, almeno per ora. Certo l’amaro in bocca c’è, perché nel finale l’Inter la partita poteva più vincerla che perderla, visto che il gol di Piccoli in realtà non è mai esistito, perché il VAR ha cancellato quel tratto di gara dal minuto in cui la palla rinviata da Handanovic per evitare un calcio d’angolo era uscita di quasi mezzo metro. Invece il rigore sbagliato da Federico Dimarco purtroppo resta in tabellino, ma stavolta non è il caso di tirare in ballo come di consueto ‘La Leva calcistica della classe ’68’ di Gregori con il classico Nino che sbaglia un calcio di rigore, anche perché nella storia del calcio Nino si è chiamato via via Maradona, Platini e più o meno come tutti i fuoriclasse che vi vengono in mente dal dopoguerra a oggi. Dimarco è stato scelto da Simone Inzaghi per il tiro dal dischetto semplicemente perché i due primi rigoristi, Lautaro e Çalhanoğlu, non erano più in campo. Poi in un calcio sempre più dominato dal business, Federico Dimarco, interista dalla nascita e milanese nato nel quartiere Calvairate, è una specie protetta a prescindere, considerata perfino estinta. Oltretutto il ragazzo ci sa fare davvero: lo ha dimostrato a Genova, quando ha infilato la Sampdoria una punizione da sigla televisiva nel sette e pure con l’Atalanta, visto che il tap-in vincente di Dzeko è stato propiziato da un suo tiro respinto corto da Musso.
Quindi giù le mani da Dimarco: l’errore ha tolto due punti in classifica all’Inter ma poteva capitare a chiunque, anche ad un interista milanese come non se ne vedevano più in nerazzurro dai tempi di Walter Zenga. Oggi comanda il calcio-business, dove l’idolo di turno ti lascia da un momento all’altro per ragioni professionali invisibili solo a chi non lavora nel calcio. Non a caso ultimamente aleggia più o meno in ogni tifoseria quella che io chiamo la ‘sindrome del cornuto’, ossia quella buffa metamorfosi mentale che trasforma i giocatori che hanno giocato nella propria squadra e che magari l’hanno pure portata a vincere in pipponi: Lukaku e Hakimi per gli interisti, Cristiano Ronaldo per gli juventini, Donnarumma e Calhanoglu per i milanisti, anche se quest’ultimo caso è il più bizzarro, visto che qualunque interista, avesse ancora Eriksen, non avrebbe mai pensato a Çalhanoğlu in nerazzurro, ma oggi va così.
In ogni caso, scorrendo le statistiche dal dischetto di questa rosa, che ha perso Lukaku, cecchino anche su rigore, non è che si possa stare tanto allegri: in carriera Sanchez e Correa finora di rigori ne hanno segnati in media 1 su 3, Perisic e Dzeko sono appena intorno al 50% e i migliori, come detto, restano Lautaro con 6 rigori segnati su 8 e Calhanoglu con 20 rigori segnati su 23, ma con l’Atalanta erano già stati sostituiti.
Quindi, non pensiamoci più e forza Dimarco!
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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