Darmian: "Ho sempre tifato Inter, sin da bambino. Chiudere in nerazzurro sarebbe un sogno"

Darmian: "Ho sempre tifato Inter, sin da bambino. Chiudere in nerazzurro sarebbe un sogno"TUTTOmercatoWEB.com
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giovedì 22 febbraio 2024, 10:09Primo piano
di Marco Corradi

Matteo Darmian si racconta ai microfoni di Radio Serie A, durante il format "Storie di Serie A" di Alessandro Alciato, e parte dalle sue origini: "Sono nato a Rescaldina, un paesino di 10mila abitanti dove abitano ancora i miei genitori e gli amici di una vita, con cui condivido ancora tanto. Sognavo di giocare a calcio, un sogno che credo sia condiviso da tutti i bambini. Per me era una passione, un divertimento in primis. Mi trovavo all'oratorio con gli amici e ci divertivamo: giocavamo dalla fine della scuola fino alla sera. Poi da sogno è diventato realtà". 

Cosa si imparava all'oratorio?

"A stare insieme, a condividere la passione del pallone ma non solo. Era un momento di aggregazione e di piacere che amo ricordare, da lì è nato tutto. Si stava sempre dietro un pallone, ci si divertiva in modo spensierato, senza pressioni e senza pensieri. Sulle orme di Marco Simone? Sicuramente è stato un giocatore da cui prendere ispirazione, ma quando sei così piccolo non ci pensi. Vuoi solo divertirti. Mi allenava suo fratelllo insieme a mio papà, c'era un bel rapporto perché suo figlio giocava con me". 

Sei talmente legato all'oratorio da essertelo portato ai Mondiali del 2014 ...

"Avevo un gagliardetto come portafortuna, sì. Per la squadra non è stata un'esperienza positivissima, non abbiamo passato il girone. Ma per me è stato un sogno, era la mia prima volta in Nazionale ed è stato tutto stupendo". 

A casa si tifava Fiorentina.

"Mio padre è tifoso della Fiorentina sin da bambino, per Antognoni. Non me l'ha trasmessa tantissimo, ma mi ha passato la passione per il pallone".

Il tuo interismo da dove nasce?

"Da piccolino, con gli amici. Tifavo Inter sin da piccolo e non ho mai cambiato".

Com'è arrivato il Milan nella tua vita?

"Mi visionarono durante alcune partite, feci il provino e riuscii ad entrare nelle giovanili del Milan. è stato un percorso formativo, sono diventato ragazzo e uomo in quegli anni. Sono entrati in quattro della mia squadra nelle giovanili rossonere: averli con me è stato fondamentale, mi ha dato grande serenità perché più che un provino mi sembrava un allenamento al campetto". 

Il tuo idolo era Clarence Seedorf, che allora giocava nell'Inter.

"Risposi così al questionario. Ci fecero domande su tutto, dal calcio alla scuola. Non ho risposto che volevo fare il calciatore da grande, ma il pizzaiolo: in quel momento pensavo più alla pizza che al calcio (ride, ndr)". 

Con Seedorf poi hai giocato, era come te l'aspettavi?

"Un professore dentro e fuori dal campo, oltre ad essere un grande giocatore. Non si è mai risparmiato a dare consigli o aiutare tutti i giovani, ti dava la tranquillità che serve ai giovani talenti che cercano di approcciarsi al grande calcio ed allenarsi con la prima squadra". 

Quali sono i tuoi ricordi del Milan, hai avuto anche esperienze negative?

"C'è poco che non mi piace ricordare, tutte le esperienze ti formano e ti fanno crescere. Per me il settore giovanile del Milan è stata una scuola di vita, mi ha insegnato a seguire le regole e mi ha dato tanta disciplina, oltre ai valori tattici e tecnici. Solo quattro presenze? Quando mi sono affacciato alla prima squadra, in quel momento il Milan era talmente forte che non avevo possibilità di giocare o dimostrare il mio valore. Abbiamo preso la decisione di muovermi e iniziare il mio percorso calcistico altrove". 

Sei partito dal Padova, poi col Palermo hai vissuto la Serie A da protagonista...

"Mi rimane tantissimo del Palermo. Era il mio primo anno di Serie A, in una squadra forte che giocò l'Europa League e arrivò in finale di Coppa Italia. Mi sono potuto realmente confrontare con la Serie A, anche se non giocavo tantissimo. Ne sarò sempre grato". 

Sei esploso nel Torino. 

"In granata ho trovato tante cose. Dalla fiducia dell'allenatore, della società e dei tifosi che mi hanno permesso di giocare con continuità e crescere, alla serenità che mi ha consentito di avere fiducia nei miei mezzi e dimostrare i miei valori sul campo e fuori". 

Non ti sei mai montato la testa, come hai allenato la tua normalità?

"Ho sempre cercato di essere me stesso in tutto quello che faccio ed ho fatto. Ho dei valori e delle idee che ho sempre mantenuto, credo di poter essere un esempio per i giovani anche ora che sono un vecchietto (ride, ndr)". 

Dal Torino passi allo United, perché l'Inghilterra?

"Ho scelto l'Inghilterra perché volevo confrontarmi con una realtà nuova. Ne sono orgoglioso perché ho giocato in uno dei club e dei campionati più grandi del mondo, vincendo quattro trofei e condividendo lo spogliatoio con grandi campioni".

Giocavi tanto con van Gaal, poi con Mourinho sono iniziate le panchine e le tribune. Cosa non ha funzionato con lui?

"Non posso dire che non sia scattata la scintilla con Mourinho: abbiamo sempre avuto un buon rapporto e mi ha sempre considerato, anche se aveva altre idee per la formazione titolare e faceva le sue scelte. L'ho sempre rispettato e ho sempre cercato di dare il massimo in allenamento e in partita. Tra di noi c'era un rapporto sincero. L'ha avuto con me e con ogni giocatore che ha allenato: semplicemente doveva fare le sue scelte". 

Parlava in qualche modo dell'Inter?

"Capitava spesso con me, perché ero italiano. Parlavamo dell'Inter ed erano bei ricordi: era bello sentire i suoi aneddoti, la sua Inter ha scritto la storia vincendo il Triplete e faceva piacere". 

A trent'anni arrivi a Parma e ti bollano come giocatore finito, non ti dava fastidio?

"Non più di tanto, ho sempre creduto in me stesso e nelle mie qualità. Ho sempre cercato di dare tutto me stesso e di mostrare ciò che valgo sul campo e negli allenamenti. Attaccato perché troppo buono? Per me non è così. Non sono il giocatore che cattura l'occhio dei tifosi per le qualità tecniche, ma viene apprezzato che do il massimo in ogni situazione. Nell'arco di una partita siamo chiamati a fare tante scelte e cerco di fare quella giusta". 

Ottobre 2020: ti chiama Antonio Conte e ti porta all'Inter.

"Ci siamo sentiti con mister Conte prima del mio arrivo a Milano e mi aveva spiegato il ruolo che voleva farmi fare. E poi ad ottobre sono arrivato all'Inter, dopo la 3a giornata e la sosta per la Nazionale, così ho potuto fare qualche allenamento prima di giocare. E capire subito cosa voleva da me. Il primo giorno che sono entrato ad Appiano è stato molto emozionante. Iniziava una nuova esperienza ed era tutto nuovo. Avevo un approccio positivo, ho cercato dal primo giorno di mettermi a disposizione della squadra e dei compagni". 

Cos'è stato Conte per te?

"Un tecnico fondamentale nella mia carriera. Mi ha permesso di vincere, il mio primo anno di Inter è coinciso con la vittoria dello scudetto e posso solo essergli grato". 

In Nazionale tu giochi con Conte e negli Europei sbagli il rigore decisivo: tutti si ricordano Pellé e Zaza, ma non il tuo errore...

"Per fortuna (ride). Mi sono preso la responsabilità e, come capita di segnare, capita di sbagliare. Siamo usciti, ma è stato un percorso importante e la sensazione è che quella Nazionale potesse davvero vincerlo l'Europeo. Chissà cosa sarebbe successo, se non fossimo usciti ai rigori...". 

Quando arrivi all'Inter come vice-Hakimi, vieni fortemente criticato. Ora sei un idolo assoluto, come ci sei riuscito?

"In realtà io ho sempre cercato di rimanere me stesso, consapevole delle mie qualità e del mio valore. Sin dal primissimo giorno ho cercato di lavorare e mettermi a disposizione della squadra e dei compagni, dando il mio contributo per raggiungere gli obiettivi stagionali. Questo ho fatto ricredere tanti scettici". 

Cos'è l'interismo?

"Passione, essere parte di una famiglia e di un progetto importante, dare tutto per la causa".

Ci racconti un episodio fondamentale per lo scudetto di Conte? Qualcosa che non conosciamo.

"Ricordo che l'inizio della stagione, per quanto fosse positivo, era fatto di alti e bassi e risultati non totalmente all'altezza. La svolta è stata dal 3-0 col Sassuolo: c'era stata una riunione in settimana in cui ci eravamo detti che dovevamo essere perfetti e lo siamo stati. Da lì è partita la scalata che ci ha permesso, nonostante fossimo usciti dal girone di Champions, di andare a vincere lo scudetto". 

In una riunione del genere chi parla?

"Parlano tutti, si deduceva la voglia di fare cose importanti". 

Cos'ha significato per te lo scudetto con l'Inter?

"Qualcosa di speciale, quello che c'è dietro non è scontato. Ogni vittoria è frutto di tanto lavoro e sacrificio": 

Lavoro e sacrificio sono anche le parole chiave dell'Inter di oggi. 

"Assolutamente sì, c'è tanto di questo nella squadra attuale. Siamo un grande gruppo, con grandi qualità tecniche ed umane. Quando serve non deludiamo mai e tiriamo sempre fuori il massimo. Abbiamo una grande mentalità". 

La miscela perfetta per te è stata l'addio di Hakimi sommato all'arrivo di Inzaghi?

"Come si esce da una situazione simile, con quel doppio addio? Con tanto lavoro, il mister e la società non hanno fatto sentire determinate mancanze e hanno aggiunto sempre delle pedine fondamentali per proseguire il lavoro iniziato con Antonio Conte". 

Cosa ti colpisce di Inzaghi? Il tuo ritratto del mister.

"Una persona piacevole, oltre ad essere un grande allenatore che sta dimostrando di esserlo costantemente. Nel momento giusto riesce a darti quella tranquillità e quella serenità che a volte servono. Sono ingredienti importanti per puntare a grandi obiettivi". 

Nella scorsa stagione si parlava di esonero ed è il momento esatto in cui è vista la squadra totalmente con Inzaghi. Ne avete parlato?

"Non so se ci sia stato un prima e un dopo. Sicuramente in campionato abbiamo avuto tanti alti e bassi, senza trovare continuità. Sapevamo di avere una squadra forte e che dovevamo dimostrarlo. Siamo sempre stati uniti all'interno e poi, nella seconda parte di stagione, sono usciti i nostri valori, Siamo andati molto meglio e siamo arrivati in finale di Champions". 

Avreste meritato di vincerla...

"Purtroppo questo è il calcio. Può succedere di tutto, soprattutto in una gara secca. Eravamo convinti e consapevoli della nostra forza, nonostante venissimo dati per sfavoriti: è arrivata una sconfitta, ma nella carriera di un calciatore le sconfitte superano le vittorie. Quella sconfitta ha fatto male, perché siamo arrivati vicinissimi a un sogno, ma ci ha insegnato tanto e ci ha fatto crescere". 

L'hai rivista quella finale?

"Tante volte. Purtroppo il finale non si può cambiare, ma più la guardi e più hai la consapevolezza della grande partita che si è fatta. E che siamo una squadra forte". 

Gennaio 2023, Darmian capitano: ti sei commosso?

"Mi è capitato tante volte, anche al di fuori del calcio. Quel momento forse non è stato commovente, ma piacevole. Un motivo motivo d'orgoglio per i sacrifici e gli sforzi fatti da quando sono bambino. Ripensi a tutto quello che è successo? Non proprio in quel momento, ma dopo sì". 

Chi è il capitano perfetto dell'Inter?

"Sicuramente Lautaro è un capitano giusto e tosto. Zanetti è stato IL capitano. Citerei loro due. Perché giusto e tosto? Si è preso questa responsabilità nella maniera giusta, dimostrando di avere le qualità caratteriali per farlo. Ci auguriamo che possa continuare così". 

Cosa rappresenterebbe lo scudetto della seconda stella?

"Vincere non è mai scontato ed è sempre difficile. Qualora dovessimo raggiungerlo, sarebbe emozionante. Ne parliamo poco, siamo concentrati sempre sulla prossima partita e basta. Seconda stella prima del Milan? Noi pensiamo soprattutto a noi stessi ed a raggiungere i nostri obiettivi. Quando indossi una maglia così importante hai tante responsabilità e la voglia di raggiungere sempre il massimo: è la storia dell'Inter che lo richiede". 

Ci pensi mai che entreresti nella storia dell'Inter, raggiungendo questo traguardo?

"Vincere qualcosa è l'unico modo per essere ricordati, sarebbe straordinario".

Le tre cose più belle da quando sei all'Inter?

"Sceglierne tre è difficile. Potrei mettere qualche gol che ha permesso di avvicinarci allo scudetto, il momento della firma e il percorso che ci ha fatto arrivare in finale di Champions. Ma sono tanti momenti: dalllo scudetto alle coppe, in questi quattro anni c'è stato tanto". 

Matteo Darmian è un leader silenzioso: durante i tuoi silenzi cosa ti passa per la testa?

"Osservo e cerco di fare le mie riflessioni. Sono uno molto pacato, mi piace esserlo ed essere normale in questo mondo che ad oggi crea molto caos. Essere sè stessi in ogni situazione e in ogni momento è un valore aggiunto". 

Il tuo contratto scadrà nel 2025: pensi già al momento in cui lascerai il calcio?

"Spero di continuare per altri anni a vestire questa maglia, l'Inter è una seconda famiglia e mi trovo davvero bene. Arriverà anche per me il momento di dover smettere, ma finché sto bene fisicamente e mentalmente mi piacerebbe continuare. Non ho ancora pensato a un futuro post-calcio: mi piacerebbe restare in questo mondo, ma non saprei con quali modalità. Ci sarà tempo per riflettere". 

L'Inter sarà l'ultima squadra della tua carriera?

"Sarebbe molto bello, un sogno. Ma non so cosa succederà nei prossimi anni".