Stefano Borghi: "Capolavoro Inter!"
L’Inter ha già ammazzato il campionato? No, siamo solo a metà strada e i distacchi non sono tali da emettere sentenze definitive, anche perché fra gennaio e febbraio avremo subito una girandola di scontri diretti che potrebbero farcene vedere delle belle. L’Inter è la squadra da battere? Sì, questo assolutamente sì, perché da un mese e mezzo a questa parte l’allineamento dei pianeti nella galassia nerazzura si è perfezionato, facendo sì che i campioni in carica (nonché la rosa più attrezzata del lotto) siano riusciti non solo a saltare con disinvoltura un’estate che poteva gambizzarli, ma addirittura ad alzare tutte le possibili asticelle.
Viste le premesse e visti i tempi, quest’Inter è un capolavoro: merito di un gruppo che con il trionfo dell’anno passato ha acquisito mentalità vincente e ha scelto a livello di psicologico di non abbattersi per la perdita di alcuni punti cardinali bensì di ribellarsi al ridimensionamento. Merito (tanto) di un allenatore che da anni sta dimostrando di essere di massimo livello ma è sempre stato condannato a doverlo fare di volta in volta, peraltro riuscendoci sempre. Merito soprattutto della dirigenza guidata da Beppe Marotta, che si è ritrovata di colpo senza una proprietà alle spalle, senza l’allenatore della svolta e senza i suoi due giocatori più illustri, ma che ha risposto con una serie di mosse tanto repentine quanto meravigliosamente illuminate. Una serie di componenti che sono state in grado di performare al cento per cento se non oltre. Da qui il miglioramento fatto registrare sotto tutti i punti di vista e la possibilità di passare le feste in posizione dominante, anche se la strada da fare è ancora tanta.
Il capolavoro della dirigenza
Con la vittoria sul Torino, un successo un po’ più sudato degli altri, quasi “contiano” verrebbe da dire visto che il gol è arrivato in contropiede e la prestazione è stata ammantata di praticità, l’Inter ha chiuso un girone di andata da record! Viene, infatti, da sette vittorie di fila e non subisce gol da oltre cinquecentocinquanta minuti, ha cinque punti in più dell’anno scorso, ha segnato quattro reti in più (addirittura centoquattro i gol nell’anno solare) e ne ha subite otto in meno. Ha vinto due partite in più e ne ha persa solo una, a differenza delle due lasciate da Conte nel girone di andata della passata annata. A ciò si aggiunge il passaggio di turno in Champions, traguardo tabù nelle ultime tre stagioni.
Un quadro numerico perfetto, ma la percezione del potere interista si fonda addirittura di più su quanto si vede che non sui dati registrati. Perché è indubbio che l’Inter di Inzaghi sia una squadra che non solo raggiunge cifre top, ma riesce anche a farlo soddisfacendo il senso estetico di chi la guarda. Bisogna dare ad Antonio quel che è di Antonio: se il gruppo ha potuto fare questo ulteriore passo avanti è senza dubbio merito di chi si è messo a guidarlo portando gradualmente le proprie idee senza stravolgere quelle che avevano permesso all’Inter di tornare a vincere dopo un decennio, però il salto di qualità mentale del gruppo era già avvenuto nella scorsa stagione, così come il raggiungimento di una solidità inscalfibile nei meccanismi difensivi. Detto questo, non si può non sottolineare come sia stata fondamentale l’iniezione di novità, arrivata peraltro nel momento di massima incertezza. Il capolavoro della dirigenza è stato fornire risposte immediate a una raffica di problematiche complicatissime, ma soprattutto riuscire a dare le migliori possibili. Conte lascia? Arriva Inzaghi, che può ripartire benissimo dalla base tattica creata, che ha il fisico dell’allenatore navigato ma anche la fame di chi può arrivare per la prima volta ai massimi traguardi, e che – dulcis in fundo – può mantenere lo stesso livello di cura dei dettagli allentando però un pochino le briglie del controllo schematico di ogni situazione, liberando la creatività. Vanno via Lukaku e Hakimi? Per sostituire il bomber belga ecco pronti due innesti che accompagnino e valorizzino Lautaro Martinez (che sarà ancora leggermente incostante, ma rimane il vero top dell’attacco nerazzurro in rapporto qualità/prospettive): Dzeko è stato il grande e addirittura insperato motorino d’avviamento della stagione segnando sette gol nelle prime nove giornate di campionato, poi si è un po’ normalizzato ma rimane una fonte di gioco essenziale. Correa addirittura è stato una sorta di lussuosa comparsa, e questo ci dà la dimensione di quali siano ancora i margini di miglioramento. E nelle ultime settimane si è capito bene anche quanto potenziale abbia Dumfries, che ci ha messo un po’ ad ambientarsi (come Hakimi…) ma che ora ha trovato i giusti giri del motore e sta risultando devastante. Però, fra tutti, il vero capolavoro di mercato è stato probabilmente Hakan Calhanoglu, la mossa fulminea e irriverente arrivata dopo la dolorosa e sfortunatissima vicenda che ha colpito Eriksen. Il turco, strappato ai cugini a parametro zero, non è un giocatore che da solo trascina una squadra perché caratterialmente non è e non sarà mai un leader, però è un elemento che – in un sistema che gira – alza sensibilmente i livelli qualitativi con la sua magnificente facilità di calcio, di cui ha goduto totalmente Pioli nell’anno della grande rinascita rossonera e che per Simone Inzaghi rappresenta l’ideale per chiudere il suo cerchio tecnico-tattico.
Un’Inter bella, vincente e completa
Da tutte queste manovre illuminate e repentine, è nata un’Inter bella e vincente. Definita nel suo undici base e ricca di alternative che crescono di pari passo al rendimento globale della squadra. L’Inter che ha un portiere veterano come Handanovic, sempre un po’ troppo esposto alle critiche ma che alla fine di quest’anno come di tutti gli altri avrà portato più punti di quelli che avrà tolto. L’Inter del terzetto Skriniar-De Vrij-Bastoni, dove l’olandese si è ormai imposto come uno dei migliori d’Europa nel ruolo di perno centrale di una difesa a tre, lo slovacco usa il fisico in entrambe le aree e il mancino è la variabile impazzita con le sue sortite. L’Inter di Dumfries e Perisic, laterali d’assalto che aumentano esponenzialmente la dimensione offensiva della proposta e di conseguenza la sua modernità e internazionalità. L’Inter del triangolo Brozovic-Barella-Calha: il maestro di cerimonia che dal pulpito dirige l’orchestra, la dinamo che combatte e rifinisce, il maitre che serve gli altri con gusto e modi raffinati ma che sa anche sciabolare alla perfezione. L’Inter di Lautaro, si perché il Toro argentino è comunque il capocannoniere di squadra, ha segnato undici gol in campionato e rimane la stella polare attorno a cui gli altri gravitano. Infine, l’Inter di Darmian e di Di Marco, di D’Ambrosio, di Vidal e di Gagliardini, persino di Alexis Sanchez: tutti gregari pronti all’uso e andati oltre al rendimento previsto. L’Inter che ha chiuso il girone di andata con un’accelerazione bruciante che l’ha portata in vetta con margine. Un margine però non ancora definitivo, anche perché nelle prime sei giornate del 2022 la banda di Inzaghi incrocerà Lazio, Atalanta, Milan e Napoli: sarà subito un filotto cruciale, ma la sensazione, ora come ora, è che il problema sia soprattutto per le altre…
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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