Sandro Mazzola a Radio Nerazzurra: "Herrera era un fenomeno, vi racconto la mia Inter. Ho rifiutato due volte la Juventus"

Sandro Mazzola a Radio Nerazzurra: "Herrera era un fenomeno, vi racconto la mia Inter. Ho rifiutato due volte la Juventus"TUTTOmercatoWEB.com
giovedì 4 maggio 2023, 12:51News
di Marco Corradi

Ai microfoni di Radio Nerazzurra, durante Fuorigioco, è intervenuto Sandro Mazzola. L'ex leggenda dell'Inter, da giocatore e da dirigente, recentemente ha pubblicato il libro "Cuore nerazzurro" (scritto con Fernando Coratelli) e descrive così cosa significa essere interista: "L'Inter è una cosa di cuore, che hai nel cuore e che ti fa sempre vedere nerazzurre le cose di calcio. Non le vedi in un altro modo, non ci sono altri colori. Avrei potuto indossare il granata di mio papà, però ho fatto una scelta precisa". 

Oggi ricorre l'anniversario di Superga. Hai qualche ricordo di quei giorni?

"Quando papà mi portava alla partita, vestito da giocatore del Toro, e andavo in panchina. Era un bambino ed era come giocare, in pratica".

Come arrivi all'Inter?

"Mi ha portato all'Inter Benito Lorenzi. Era sempre convocato in Nazionale, però non giocava quasi mai, e un giorno ha sentito mio papà chiedere a un ct di farlo giocare. Da lì sono diventati amici e hanno sviluppato un rapporto speciale, che poi l'ha portato a prendersi cura di me e aiutarmi nelle prime fasi della mia carriera". 

Le emozioni della Coppa Campioni contro il Real Madrid. 

"Di Stefano era il mio idolo. Quando l'abbiamo battuto, io restavo lontano e temevo che fosse arrabbiato. Invece venne lui vicino a me e mi disse che ero stato bravo. Per me la partita era finita lì".

Helenio Herrera, ce lo racconti?

"Era un fenomeno. Voleva essere sempre il primo, quello che decideva tutto e voleva avere in mano la squadra. All'allenamento pomeridiano ci chiamava tutti uno per uno e studiava come stavamo, com'eravamo pronti, se avevamo studiato gli avversari. Era estremamente meticoloso, ci spiegava tutto per filo e per segno. Quando giocavo mezzala avevo un avversario che mi seguiva dappertutto e lui mi spiegava cosa dovevo fare. Mi disse una volta di stare fermo per disorientare il marcatore e farlo attaccare. Non era semplicissimo (ride)". 

Saresti mai andato via dall'Inter per soldi?

"No, anche perchè non me ne avrebbero mai dato la possibilità (ride). Quando c'era da fare il contratto era bellissimo, perchè c'erano tutte le foto dei vecchi campioni e ti lasciavano lì almeno mezz'ora. Alla fine avevi la testa che ti girava e probabilmente avresti accettato qualsiasi cifra". 

Hai perso una finale di Coppa Campioni contro l'Ajax di Cruyff. Vista dal campo la squadra del calcio totale era davvero così forte?

"Hanno dato al calcio una nuova versatilità. Giocare tutti uniti, tutti compatti, scambiarsi le posizioni. Avremmo dovuto incontrarli qualche anno prima, quando eravamo più forti anche noi (ride)".

C'è questo aneddoto ricorrente sulla tabella-scudetto nell'anno di Invernizzi, compilata da te e Facchetti. 

"Una storia vera. Io, Facchetti e altri compagni completammo una storia di tabella-scudetto con vittorie e previsioni sulla rimonta. Prima di ogni partita ci trovavamo e quell'anno si parlava solo di questo impegno preso". 

Il tuo ricordo più bello da calciatore. 

"La prima finale di Coppa dei Campioni. Sfidare Alfredo Di Stefano, che per me era il Dio del calcio. Quando l'ho visto ero rimasto lì con gli avversari a guardarlo, mi ero perso. Armando Picchi a un certo punto mi toccò sulla spalla e mi disse: noi facciamo la partita, tu stai a guardare Alfredo?. Il capitano era forte. Se facevi un errore di comportamento, ti prendeva da parte e ti massacrava a parole".

Com'era Pelé, che hai sfidato nei Mondiali del '70?

"In campo, una volta arrivati lì, sembrava uno come noi. Non si dava le arie, non sgridava i compagni ed era una persona fantastica".

Hai rifiutato la Juventus, è vero?

"Ho detto due volte no alla Juventus. Non potevo, ero una bandiera dell'Inter e mio papà una bandiera del Toro. Ho sempre sentito la rivalità".