"Impaurita, non ha la minima idea di cosa fare": Sacchi incredulo con l'Inter

L'ex tecnico del Milan e della Nazionale italiana, Arrigo Sacchi, analizza fra le colonne de La Gazzetta dello Sport oggi in edicola il pesantissimo 5-0 subito dall'Inter contro il Paris Saint-Germain in finale di Champions.
"Il trionfo del gioco" - scrive Sacchi - ". Non di un solo giocatore, ma del calcio interpretato come organizzazione, come manovra armoniosa, come ricerca della bellezza attraverso la velocità, il dribbling, i passaggi, gli uno-due. Il Psg ha dominato in lungo e in largo, all’Inter non resta che applaudire gli avversari e inchinarsi alla loro bravura. Il risultato è sicuramente clamoroso, perché una finale di Champions League non era mai finita con cinque gol di scarto, ma questo accade quando da una parte c’è una squadra che sa che cosa deve fare (il Psg, appunto) e dall’altra ce n’è una (l’Inter) che, impaurita, non ha la minima idea di come si debba comportare. Il primo tempo è stato senza storia. Il Paris Saint Germain sempre in pressione, sempre coraggioso, sempre alla ricerca del dominio del campo, e l’Inter timorosa, con pochissime idee e stranamente fragile anche nel settore più forte, cioè la difesa. Il primo gol dei francesi è bello per la costruzione, perché Vitinha offre un pallone d’oro a Douè per l’assist decisivo, ma come si può lasciare che gli avversari giochino liberamente dentro la tua area senza minimamente opporsi? Il raddoppio è figlio di un contropiede rapidissimo e di una chiusura mancata sul lato opposto. Troppe disattenzioni per una squadra che si gioca la Champions. Devo essere sincero: data la personalità
Il Psg di Luis Enrique dimostra che il collettivo conta più dei singoli Chissà come si sente Mbappé...
dimostrata nell’arco della stagione, e data l’esperienza dei giocatori di Simone Inzaghi, non mi aspettavo un inizio così traumatico. Non so, sinceramente, che cosa sia successo, perché certe situazioni bisogna viverle sulla propria pelle per poterle giudicare, però mi sento di dire che la differenza «di gamba», come si dice in gergo, ha fatto la differenza. Il Psg correva a cento all’ora, e forse anche di più. L’Inter, invece, trotterellava. Ne è conseguito che i nerazzurri non sono mai riusciti a creare pericoli alla porta di Donnarumma, se non sui soliti calci da fermo. I francesi, al contrario, hanno sempre cercato di giocare con il pallone a terra, lo hanno fatto girare costringendo l’Inter a rincorrere e hanno dimostrato come si devono affrontare gli impegni internazionali. Ho ammirato soprattutto l’organizzazione che Luis Enrique ha dato alla sua squadra: pareva che i francesi giocassero a occhi chiusi, si trovavano sempre, in ogni zona del campo, non erano mai in affanno e sapevano sempre come gestire le situazioni, anche le più complicate. Nella ripresa, stesso copione. L’Inter ha provato a rientrare in partita, ma la differenza, sia a livello tecnico sia a livello fisico, era troppo evidente. I nerazzurri non mi hanno mai dato l’impressione di poter creare un’occasione importante, non ho visto un gioco da parte dei ragazzi di Inzaghi, e qui sta il problema. Il Psg basa tutto sulla manovra: è vero che ci sono grandi interpreti, ma è altrettanto vero che questi interpreti si mettono a disposizione del collettivo, che si sacrificano, che corrono, che applicano alla lettera le direttive dell’allenatore. Purtroppo non si può affermare la stessa cosa dell’Inter, che è andata in confusione nel momento stesso in cui è entrata in campo. Che cosa non abbia funzionato non posso saperlo di preciso. Analizzo però l’ultimo periodo dell’Inter: ha perso la semifinale di Coppa Italia, le è sfuggito lo scudetto quando era davanti al Napoli, ed è stata travolta in finale di Champions League. Zero titoli. È giusto non fare tragedie, perché il buono che i nerazzurri hanno fatto vedere nel corso della stagione non deve essere gettato dalla finestre, ma è altrettanto giusto valutare quali sono stati gli errori: l’Inter è arrivata scarica al traguardo. E, quando non hai energie da mettere in campo, è difficile riuscire a tenere testa a un avversario forte come il Psg. Adesso si apriranno processi a Simone Inzaghi, rientra nella logica del calcio, ma non è dando la colpa all’allenatore che si risolvono i problemi. Il Psg ha dimostrato di credere in qualcosa che noi, in Italia, stiamo ancora cercando: il gioco. Vogliamo metterci in testa che il gioco conta di più del giocatore? Ve lo dimostro con una prova semplicissima: il Psg, nell’estate scorsa, ha ceduto Mbappé al Real Madrid, cioè il campione più acclamato nel club più famoso del mondo. Bene, Mbappé con i Blancos del mio amico Ancelotti non ha vinto né la Champions né la Liga, mentre il Psg, senza di lui, ha sollevato il trofeo più importante. Che cosa voglio dire? Che il gioco, frutto di lavoro e di fatica, di conoscenza e di organizzazione, è alla base di ogni successo. Chissà che cosa avrà pensato Mbappé guardando la partita dei suoi ex compagni. È una lezione, quella che ha regalato Luis Enrique al mondo del calcio, che dovrebbe essere imparata a memoria.
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