Adriano ricorda la depressione: "L'Inter mi propose una struttura per curarmi. E Moratti..."

Adriano ricorda la depressione: "L'Inter mi propose una struttura per curarmi. E Moratti..."TUTTOmercatoWEB.com
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Oggi alle 18:50News
di Marco Pieracci

Protagonista del format di Prime Video "Fenomeni", l'ex attaccante nerazzurro Adriano è tornato sull'esperienza all'Inter: "Io all'inizio non sapevo che sarei venuto a Milano. Una mattina il mio agente mi ha chiamato dicendomi: 'Vai in Italia'. Fecero lo scambio con Vampeta che andò al Flamengo. Non sapevo nulla, lo giuro. Mi sono svegliato alle 10, alle 18 dovevo andare in aeroporto. Non conoscevo nessuno all'Inter, Ronaldo lo avevo visto solo in tv. Non immaginavo di andare in Europa così presto, ero troppo felice".

Come è stato l'impatto col mondo Inter?

"Il primo che ho visto alla Pinetina è stato Vieri, l'ho salutato. Per me che ero giovane era un sogno".

Il gol su punizione contro il Real Madrid in amichevole.

"Facemmo un allenamento prima di andare a Madrid, Seedorf vide che calciavo forte, quindi mi disse 'viene con me a provare'. Lui si è spaventato un po'... Io non presi la palla perché ero appena arrivato. Arrivò Seedorf che mi disse 'calcia tu'. E' andata bene. Io non ci potevo credere, anche il fatto di giocare al Bernabeu era troppo emozionante".

Ronaldo è stato come un fratello maggiore per te?

"Sì, sì. Dopo il gol mi ha abbracciato e mi ha detto 'devi fare di più'. Poi sono andato a casa sua, mi ha accolto molto bene. Poi Ronaldo lo guardavo con ammirazione. Ero nelle favelas pochi giorni prima, poi a casa di Ronaldo. Mi viene la pelle d'oca a parlarne".

Come era allenarsi con Ronie?

"Era come andare a scuola. Dopo l'allenamento mi diceva le cose che dovevo fare. E' una persona con un cuore grandissimo e una grande personalità. Non ci vediamo tanto ora, ma qualche volta ci sentiamo". 

All'Inter avevi poco spazio, quindi andasti alla Fiorentina: saresti rimasto?

"Per me era giusto, non conoscevo il calcio italiano e dovevo imparare. Sono rimasto lì sei mesi a Firenze, grazie a Dio sono riuscito a fare dei gol contro grandi squadra. Poi purtroppo siamo retrocessi e sono andato al Parma".

L'impatto con le difese italiane com'è stato?

"Me le aspettavo forti, in Brasile le marcature non sono strette. In Serie A ne avevo addosso 2-3, per quello avevo più difficoltà. Poi è andata bene".

L'esperienza al Parma?

"Prima di me, a Parma, andò Taffarel. Gli dissi che l'avrei raggiunto volentieri, quindi il Parma decise di comprare il 50% del mio cartellino. Ero felice, trovai Prandelli lì, un allenatore molto importante per me. Mi ha insegnato movimenti che prima non conoscevo. Lì ho imparato anche a pensare come un attaccante. Quando sono tornato all'Inter ero più pronto, avevo un'altra mentalità".

L'era dell'Imperatore...

"Avevo un'altra testa rispetto alla prima volta che andai all'Inter. Non ero pronto al 100%, ma all'80 per cento sapevo già cosa dovevo fare. Non ci ho pensato due volte a tornare, c'era anche il Chelsea che mi voleva. Ma io dissi 'no', volevo tornare all'Inter perché è la squadra che mi ha portato in Italia. Era giusto così, mi viene quasi da piangere a pensarci. Moratti diceva sempre di essere il mio secondo padre, mi ha accolto davvero bene. Grazie a Dio ho fatto delle belle cose. Mi hanno fatto sentire un giocatore importante, mandandomi a giocare in prestito per imparare. Sono cose che non dimentichi, quindi li ringrazio tantissimo. Non avrei mai immaginato che un giorno mi avrebbero chiamato 'Imperatore', ho chiamato mia madre dicendole se avesse sentito questa cosa. Quando torno, tutti i tifosi, non sono quelli dell'Inter, mi chiamano 'Imperatore'".

I tifosi nerazzurri ti hanno amato incondizionatamente da subito...

"Io ho sempre fatto il mio lavoro, trattando sempre bene tutti dentro e fuori dal campo. Cercavo di sorridere sempre". 

Chi era il tuo migliore amico all'Inter?

"Stankovic, parlo spesso con lui. E' una bravissima persona, c'è un bel rapporto tra di noi. Ci capivamo a vicenda, sapevo quando stava male. Anche Cordoba è stato un fratello".

Il gol del 3-2 nel derby saltando sulla testa di Vieri?

"Lui era fermo, io arrivavo in corsa, per quello sono riuscito a saltare più in alto. E' stato bellissimo, non ho mai visto una cosa così. Il derby di Milano non ha eguali nel mondo, è come sentire il cuore esplodere". 

Che allenatore era Mancini?

"Abbiamo avuto liti normali, non capivo cosa volesse da me. Ma era un grandissimo allenatore, mi chiamava sempre per confrontarsi. Ho imparato tantissimo anche da lui. Pensavo ce l'avesse con me, ma non era vero. Poi ho capito".

Nel 2009 rescindi il contratto con l'Inter.

"Mio padre se n'è andato, non c'ero più con la testa. Non mi mancava così tanto all'inizio, ho realizzato che mi mancava dopo un anno. Quando chiamavo a casa e non rispondeva. Lì ho cominciato a essere un'altra persona. Avevo un legame forte con i miei genitori".

Chi ti aiutava a Milano?

"C'era solo mio cugino, nessun altro. Anche solo per uscire o chiacchierare".

Perché hai lasciato l'Inter?

"Non avevo la testa, non mi sembrava la cosa giusta stare qua. Sono stato convocato dal Brasile e non sono più tornato. I miei compagni e Mourinho lo sapevano che mi sarei comportato così. Non sono riuscito a mettere la testa a posto, è stata tutta colpa mia. L'ho sempre detto, sono le cose che succedono quando uno ha una perdita in famiglia. Non potevo pensare al 100% al calcio, ma stavo sempre peggio di giorno in giorno. L'Inter e Moratti hanno sempre cercato di aiutarmi, ma io non accettai. Sbagliai io. Quando sono finito in depressione, l'Inter voleva mettermi in una struttura ma io non sono andato perché pensavo di non averne bisogno. Quando ti trovi in quella situazione pensi sia normale, ma è lì che sbagli. Mi mancava la mia famiglia, dovevo andarmene via da lì. Sono rimasto due mesi senza giocare. La squadra mi voleva bene, non volevo che mi vedessero così".

Cosa ti disse Moratti?

"Io non volevo approfittarmi della situazione. Dissi loro: 'Datemi pure la multa, ma io non ho la testa per ritornare'. E' stata una fortuna avere Moratti come presidente, stava malissimo quando mi vedeva così giù. Ha capito quanto fosse difficile per me non avere più mio padre. Sono stato felice di giocare nell'Inter e di aver avuto un presidente come lui. Nel club c'era chi voleva ammazzarmi, ma Moratti ha chiamato e ha detto 'lascialo andare via adesso'".