Nessun caso, fortuna o sorteggio favorevole: l'Inter è a un passo dall'eternità con merito. Soprattutto grazie a Inzaghi

Rimanere senza trofei dopo una stagione del genere sarebbe un dolore incalcolabile, oltre che un peccato mortale.
E al di là di tutti i riti scaramantici, dopo l’ansia divampata nel tempo e l’attesa dell’ultima settimana, con più di qualche notte insonne, l’Inter è finalmente arrivata al giorno più importante della stagione: l’ultimo atto della Champions League, contro il PSG, che assegnerà la Coppa a una sola delle due finaliste.
Una road to Monaco sul confine tra la gloria eterna e la paura di non farcela, vissuta con piena consapevolezza da parte di tutti. Sì, perché a due anni dai fatti di Istanbul, in Lautaro e Barella, tra Inzaghi e Zanetti, così come in tutta la dirigenza e nel presidente Marotta, c’è una chiara presa di coscienza della propria forza. Una forza che ha permesso di conquistare il rispetto anche di chi nell’Inter non credeva affatto, in una competizione così prestigiosa e nei faccia a faccia con le superpotenze del continente.
Altro che casualità, congiunzione astrale o, peggio ancora, botta di c..., come in molti - non solo tifosi - hanno sostenuto nel tempo, secondo il solito modus operandi di appiccicare un’etichetta banalissima a una finale di Champions League, quella del 2023. E tutto per via di un sorteggio ritenuto favorevole, con Porto, Benfica e Milan negli ultimi turni.
No, questa volta non ci sono alibi né storielle da raccontare. L’Inter è passata oltre Manchester City, Arsenal, Lipsia, Bayer Leverkusen, Bayern Monaco e Barcellona: giganti del calcio che fanno accapponare la pelle al solo nominarli. A volte servirebbe davvero prendersi una pausa e apprezzare il cammino compiuto fin qui da Inzaghi e dalla squadra, specialmente prima di emettere sentenze e giudizi una volta assegnata la Coppa. Anche perché, a differenza di altri, l’Inter ha raggiunto davvero la finale di Champions — la seconda in due anni, scusate se è poco — e ora se la gioca contro il Paris Saint-Germain degli enfant terribles.
Finito il momento polemico, rispetto al 2023 ci sono parecchi aspetti da considerare. L’Inter arriva a Monaco più pronta di prima, forse con la mente meno sgombra, ma forte di una campagna europea da applausi, gesti da chapeau, un cuore grande così e un gruppo forse ancora più unito rispetto ai tempi di Lukaku e Džeko. Con tre veterani (Acerbi, Mkhitaryan e Sommer) in prima linea per l’ultima chiamata. Per realizzare quel sogno difficilmente replicabile in futuro, perché l’età avanza per tutti, soprattutto per loro. E chissà, magari contro la giovinezza un po’ sbarazzina del PSG, potrebbero avere la meglio, nonostante il frullato di fantasia e qualità con Dembélé, Doué, Barcola e Kvaratskhelia.
Ora c’è solo una strada da percorrere per coronare un sogno rimandato di due anni: imparare dagli errori e dalle sconfitte. Oltre a Istanbul e alla voglia di rivalsa. Lo insegna anche Paolo Maldini, che si è definito il giocatore più perdente della storia per tutte le finali perse in carriera. Eppure sappiamo cosa sia riuscito a fare al Milan. Perché, a volte, per arrivare all’apice e alla vittoria bisogna passare prima dalle delusioni e dalle amarezze, uscendone fortificati. Così, anche lo Scudetto buttato può servire da lezione. Una spinta in più in quei 90/120 minuti, o nei calci di rigore, che attendono l’Inter alla Munich Football Arena.
Chiudo, doverosamente, con un pensiero rivolto a Inzaghi. Si è parlato fin troppo del suo futuro a ridosso di un momento potenzialmente storico per l'Inter. Per questo è uscito allo scoperto, facendosi largo tra indiscrezioni e sua stessa ammissione di aver ricevuto offerte per andarsene: "Sto bene in questa società, ho tutto quello che voglio per poter fare bene e togliermi soddisfazioni qui". Parole che fanno sperare nel proseguimento del matrimonio nerazzurro, che da quattro anni a questa parte è stato incredibile.
Poi, con tutto il rispetto per i paragoni con Mourinho e quell’addio straziante dopo Madrid, lo scenario non è proprio da segreto di Pulcinella come allora. E Inzaghi non è Mou. Stavolta servirà attendere il giorno dopo la finale per scoprire la verità.
Ma certamente vederlo partire dopo tutto questo sarebbe davvero troppo brutto per essere vero. Un pensiero condiviso da molti. A prescindere dalla Champions.
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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