Federico Dimarco, ovvero il più bel regalo di Inzaghi all'Inter

Federico Dimarco, ovvero il più bel regalo di Inzaghi all'InterTUTTOmercatoWEB.com
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martedì 19 novembre 2024, 19:45Editoriale
di Daniele Najjar

Contro la Francia, l'Italia di Spalletti è stata poca cosa stavolta, bisogna dirlo, ma nel momento in cui la speranza si stava affievolendo ecco la giocata del campione: Federico Dimarco sgasa e pennella per Cambiaso, azzurri di nuovo in pista. Poi è finita male, ma l'ennesimo assist dell'esterno nerazzurro ha confermato ancora una volta la sua importanza e la sua capacità di essere determinante, in ogni partita o momento.

Nel calcio di 10-15 anni fa un ruolo chiave lo giocava il numero 10, ogni pallone passava dai piedi del fantasista. La regia si sta spostando al giorno d'oggi sempre di più sugli esterni, lontani dall'asfissia delle ormai intasatissime ed organizzatissime corsie centrali e dunque va da sé che avere gente valida in quel ruolo diventi cruciale per vincere. Non è un segreto che sull'asse fra Bastoni e Dimash i nerazzurri abbiano costruito molto del proprio attuale ciclo di gioie, con i vari Darmian e Dumfries sul lato opposto a dire la loro. 

Storicamente l'Inter ha avuto molti fuoriclasse sulla fascia destra, mentre a sinistra dopo lo shock di aver visto uno come Roberto Carlos esplodere altrove, a San Siro pensavano che si fosse attivata una sorta di maledizione, tolte alcune parentesi positive come Maxwell, o gli adattati Chivu e Zanetti, chiaramente. Invece quello che una volta Maicon e Hakimi facevano 40-50 metri più in là, oggi lo fa con costanza il ragazzo nato a Milano e cresciuto con il sogno nerazzurro nel cuore anche sulla maledetta corsia mancina.  

Di recente, nel suo intervento ai microfoni del podcast The BSMT di Gianluca Gazzoli, ha colpito un passaggio della chiacchierata, riguardo alle parole che ha pronunciato sul suo passato al Sion, in Svizzera: "Prima gara di campionato e rottura del metatarso: quattro mesi fermo. Rientro che era cambiato l'allenatore, a gennaio siamo ultimi o penultimi. Litigo col nuovo tecnico e non gioco più fino a fine anno. (...) Ho anche pensato di smettere. Mi sono fatto male, sono stato quattro-cinque mesi fuori e nello stesso periodo ho perso un figlio. Mi sono chiesto: "Ma chi me lo fa fare di soffrire così?". Mi sono guardato dentro e, anche se inizialmente non mi voleva nessuno neanche in Serie B, ho trovato delle motivazioni per proseguire. Il mio unico obiettivo era far ricredere chi non credeva in me e alla fine, col mio percorso, ci sono riuscito".  

Quel "non mi voleva nessuno, neanche in Serie B", fa un certo effetto se sentito oggi, dato che è considerato alla stregua dei top al mondo nel ruolo. In mezzo si rischia di saltare un passaggio che si chiama Simone Inzaghi.

Torna in mente quanto spiegato dal ds nerazzurro Piero Ausilio, in una intervista concessa a Fabrizio Biasin per Libero: "Abbiamo avuto un grande merito" - disse allora Ausilio - ", ovvero di non aver mollato mai il calciatore in cinque anni. Allenatori ci hanno detto che non poteva giocare nell'Inter e questo succede spesso anche con altri giocatori. Sinceramente non pensavo a un suo rendimento così. Chi è stato veramente illuminato e ha visto cose che nemmeno noi non avevamo visto, è stato Inzaghi. Dopo tre allenamenti mi ha detto: "Questo va benissimo"".

Federico Dimarco è il più bel regalo che Inzaghi abbia fatto all'Inter ed a sé stesso. Senza dimenticare tutti gli altri - vedi Calhanoglu in regia, per dire -, ma se si pensa da dove arrivava, l'upgrade è stato senza eguali. Il talento c'era, il ragazzo è stato bravo a credere in sé stesso e ad esprimerlo ai livelli che osserviamo oggigiorno, ma la miccia, colui che ha spinto su di lui anche quando dal mercato arrivavano giocatori di spicco che potevano farlo mollare (vedi Gosens) è stato sicuramente il tecnico seduto in panchina. Perché non tutti ricordano che i primi mesi a Milano non sono di certo stati subito rose e fiori, con tanti a chiedersi se valesse davvero la pena continuare a schierarlo titolare ad oltranza. A conferma di quanto nel calcio contino la testa, la fiducia percepita da ambiente e tecnico ed anche la visione gli stessi allenatori.