Eriksen per sempre

Eriksen per sempreTUTTOmercatoWEB.com
sabato 18 dicembre 2021, 20:33Editoriale
di Fabrizio Biasin

È inutile far finta che sia tutto bello e “buona fortuna Chris” e “alla fine è stato comunque fantastico”. Cioè, sì, è vero, è stato tutto fantastico, ma il giorno della separazione tra Inter ed Eriksen non è una bella cosa, neanche un po’, e punge sul petto come fetente strisciata di medusa. 
L’addio, questo addio, lascia tanti rimpianti, tantissimi. E, certo, un po’ sono ammorbiditi da uno scudetto meraviglioso arrivato anche grazie alle sue pedate, ma accontentarsi non è cosa di questo mondo, soprattutto se si pensa a “cosa sarebbe potuto capitare” se la sorte non si fosse accanita.
Eriksen non piaceva molto ad Antonio Conte, non era decisamente il suo giocatore ideale. Non lo ha capito per mesi e lui, il danese, per mesi non si è fatto capire. Finiva in panca, non entrava mai, a volte si ritrovava a giocare due minuti come l’ultimo degli stronzi. Lui, uno dei migliori centrocampisti al mondo. Poi, un anno fa, proprio quando Marotta annunciava con un filo di amarezza l’imminente separazione (“la storia del calcio è piena di questi casi, che ci siano giocatori che non risultano poi funzionali. Questo spetta all'allenatore valutarlo…”), accade il miracolo: Conte ed Eriksen si vengono incontro. Anzi no, sono costretti a farlo dalla contingenza: la proprietà cinese “chiude” il mercato, sia in entrata che in uscita, la dirigenza invita l’allenatore a mettere finalmente in campo il danese, l’allenatore esegue e lo incastra in una posizione di campo non propriamente sua. Ma, oh, meglio che niente. Eriksen si prende il ruolo volentieri, diventa fidato alfiere di Marcelo Brozovic e in un amen quell’Inter diventa praticamente imbattibile. 


Il merito non è certamente solo di Eriksen, ma di sicuro la sua presenza lascia il segno, eccome se lo lascia, diventa l’ingrediente che mancava, come una manciata di noce moscata gettata nel vin brulé. Qualcuno dice “sì, beh, però i gol sono pochi e persino gli assist”. Ecco, quel qualcuno non capisce, e lo diciamo col massimo rispetto ma ad altissima voce. La grandezza di Eriksen, nell’Inter di Conte, non si manifesta con i gol e gli assist, semmai con la capacità di dare ritmo e equilibrio a una squadra che in precedenza mancava del primo e del secondo.  


Il pallone inizia a viaggiare a velocità siderale, passa nei piedi del biondino e in un amen finisce altrove. Brozovic ringrazia, perché può tirare il fiato, gli avversari invece no, perché la sfera un secondo è qua e quello dopo dall’altra parte del campo. Eriksen ha una classe immensa e se qualcuno dice “però si vede poco” testimonia in qualche modo la sua ignoranza pallonara (“sua” di chi dice siffatta puttanata). Eriksen gioca a un tocco, massimo due, la caratteristica dei campioni, quelli che non hanno bisogno di fare la ruota come i pavoni, quelli che un secondo prima di ricevere il pallone sanno già dove spedirlo.
E potremmo andare avanti ma, insomma, avete capito: il qui presente stravede. 
Ecco perché sì, il saluto di ieri è stato all’altezza, la celebrazione pure, ma non riesce a neutralizzare l’amarezza. Chissà cosa sarebbe diventato costui nelle mani di mister Inzaghi, l’allenatore che (parola di tanti tra i giocatori nerazzurri) “ci ha ridato la libertà”. Ebbene, pensare a un Eriksen libero di inventare in quel po-po di impianto ci fa incazzare, avremmo voluto vederlo con i nostri occhi. E invece ciccia. 
È vero, Calhanoglu sta facendo di tutto per non far rimpiangere il suo predecessore e ci sta riuscendo alla grande. Bravo, bravissimo, ma il sapore amaro rimane. Sarebbe stato bellissimo, sarebbe stato “giusto”. Epperò la vita non è giusta, mai. Christian Eriksen lascia l’Inter, lo fa da campione d’Italia e ancora da calciatore, solo non idoneo alla nostra serie A. Questione di regolamenti e i regolamenti si possono solo rispettare. 
Grazie per tutto quello che ci hai fatto vedere, Christian, è durato poco ma ci è bastato per trasformarti eternamente in uno dei nostri. “Nerazzurro per sempre”, recita lo slogan. Ed è così. Non vediamo l’ora di accoglierti sul prato di San Siro e gridare il tuo nome fino a perdere la voce.