Oggi la amo di più (se possibile)
Dite quello che volete. L’Inter è questa roba qui, nel bene e nel male. La pazzia insita nel DNA nerazzurro esiste, inutile menare il torrone. Noi siamo, cito l’ex allenatore, un po’ dinamite e un po’ scintilla, alterniamo momenti di furore agonistico a pause sonnolente che non hai una spiegazione, più che altro perché una spiegazione, vera intendo, non c’è.
L’Atalanta, che fino a Salerno aveva mostrato la sua parte peggiore pur vincendo di riffa e di raffa sia in Campania che a Torino, e rischiando brutto nel secondo tempo col Sassuolo in casa, capisce poco o nulla dei primi quindici minuti. Sembra, per assurdo, la fotocopia della gara col Bologna: pronti via gol, favoloso, poi un tranquillo dominio di ogni zona del campo, raddoppio sbagliato ingloriosamente da Dzeko, incredibile come riesca a non controllare un pallone facile facile a metri due dal portiere e da lì, improvvisamente, si spegne la luce. Non si spegne tanto per dire. No, si spegne proprio del tutto. Il festival dell’orrore, passaggi di due metri sbagliati, gente a zonzo sul prato verde alla ricerca non si capisce bene di cosa e gli avversari, che tanto scarsi poi non sono, ne approfittano. Comandano gioco e partita, pareggiano con Samir in netto ritardo su tiro da venticinque metri, vanno addirittura in vantaggio grazie ad una respinta goffa e oratoriale del nostro capitano, se fa bene stile Firenze gli va riconosciuto, se fa male tipo ieri gli va ricordato, messa in rete da Toloi tutto solo in mezzo all’area di rigore. Perché sta tutto solo a metri cinque dalla porta? È uno dei misteri misteriosi di questa partita, bellissima e appassionante.
Va beh, pensi, adesso Simone ne cambia un paio: vanno cambiati. Invece niente, rientrano quelli del primo tempo. E cambia poco nello scorrere dell’incontro. Anzi, gli altri pigliano pure un palo pieno con Samir che mette in pratica il titolo del capolavoro di Cronin, e le stelle stanno a guardare, anche se sinceramente non mi sento di affibbiargli chissà quali torti nella circostanza. Intanto Inzaghi, finalmente, si decide a sostituire, era necessario. E quel palo, sommato ai cambi, fa sì che l’inerzia svolti decisamente a favore dell’Inter. Che spinge, non farfuglia più calcio ma lo gioca, pareggia meritatamente e continua ad at-tac-ca-re, vuole vincere. Siamo tornati dinamite, abbiamo abbandonato la scintilla. L’Atalanta sbanda paurosamente ma si rimette in carreggiata e non disdegna di pungere: non sono punture di zanzara, casomai di calabrone. Mancano cinque minuti, i giochi sembrano fatti quando Maresca, sei sempre tu ma stavolta il fischietto napoletano dirige bene senza errori gravi e palesi, indica il dischetto per fallo di mano di un difensore atalantino. Prende il pallone Dimarco, giovane virgulto ma acerbo e ancora immaturo sotto certi aspetti, è palesemente nervoso, basta vedere le immagini televisive, breve rincorsa e rigore orrendo, proprio orrendo. Ma non prendertela Federico, non è da questi particolari che si giudica un giocatore, fa tutto parte di quel bagaglio di esperienza che il calciatore maturo si ritrova dopo errori del genere.
C’è ancora il tempo per un gol annullato ai bergamaschi, già in pieno festeggiamento, poi qualche altro fuoco d’artificio ma, ormai, il meglio era stato sparato.
Quindi si pareggia. Certo, un filo d’amaro in bocca resta ma, d’altro canto, la paura per il gol orobico è stata palpabile. L’Inter ha giocato a fasi alterne, mescolando come dicevo momenti di torpore ad accelerazioni improvvise.
Non è facile, lo ripeto per la centomillesima volta, sostituire tre perni fondamentali come quelli che oggi non vestono più il nerazzurro. Inzaghi ha da lavorare, moltissimo: ma io amo questi ragazzi e questi colori. Anche quando mi rimane quel filo d’amaro in bocca.
La squadra ha bisogno dei suoi tifosi. Quindi, una volta messa da parte l’incazzatura momentanea, continuate, continuiamo, a supportarla. Lo merita.
Alla prossima.
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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