BAR ZILLO - Certe notti il sonno è agitato, ma non finisce qui

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lunedì 3 maggio 2021, 07:45Bar Zillo
di Andrea Losapio

Certe notti riposi agitato. Certe notti vorresti passassero velocemente, per arrivare alla notte successiva, a quando tutto sarà finito. E, se le cose dovessero essere andate bene, certe notti vorresti non passassero mai. Un po’ come l’undici luglio 1982, un po’ come la Champions del triplete o lo scudetto dei record, quando giovanotto reggevi il bandierone sporto dal finestrino di una due cavalli. Perché son notti dove godi una, due, tre, quattro volte, è un godere continuo. Come il diciannovesimo. Perché sì, dai, perché abbiam goduto come dei ricci. Che ‘sta roba dei ricci, mi domando, chi l’ha tirata fuori, chi è stato il primo: mi vien da citare Tibullo “Quis fuit primus qui protulit crispus” (domando scusa ai latinisti, non insultatemi), altro che balle. Si gode per millemilamotivi. Per gli anni di buio, quando a scendere in campo con maglie simil pigiama c’erano seri professionisti, probabilmente poco adatti a rinverdire i fasti di una Società gloriosa. Per il Financial Fair Play, bastonati dall’UEFA forte coi deboli e debole coi forti. Per un settlement agreement che avrebbe ucciso chiunque: non noi. Noi no, noi siamo differenti, noi andiamo in settantamila a mangiarci le unghie, roderci il fegato ed esultiamo sguaiatamente per un salvataggio di Danilone D’Ambrosio contro l’Empoli. Noi ci siamo sempre, nella gioia e nel dolore, anche incazzati se è il caso, imbestialiti, ma innamorati come pochi altri, che nessuno mi sembra troppo. Noi che facevamo il record di presenze annuale in Italia, e tra le prime tifoserie al mondo, anche quando dicevi “ma chi è quello? Si, dai, quello con la maglia numero mille. Da dove viene”? Chissenefrega, gioca con l’Inter, applaudiamolo lo stesso. 

Il diciannovesimo è lo scudetto della rincorsa, esattamente come cinquant’anni orsono: allora su un aereo, di ritorno dalla sconfitta di Napoli, i senatori nerazzurri compilarono LA tabella tricolore, per raggiungere e sorpassare gli avversari, cucendosi al petto lo scudetto numero undici. I compagni più giovani non diedero credito a quelle chiacchiere da poltrone di prima classe. Ma Facchetti, Mazzola, Boninsegna e gli altri grandi vecchi erano uomini di parola. Così, il due maggio 1971, schiantarono il Foggia retrocesso e Bonimba estrasse dal cilindro una sforbiciata volante da antologia del calcio: l’Inter vinse il campionato, annichilendo il Milan. Oggi tocca a Eriksen, tu guarda la sorte, spianare la strada al successo finale, per il quale abbiamo dovuto aspettare il giorno dopo, che lo spezzatino pallonaro voluto dalle televisioni esige spettacoli quotidiani, ci sembra giusto. E l’uomo del destino, del diciannovesimo, è un ragazzo da sempre dichiaratamente nerazzurro, Domenico Berardi il quale, trasformando un generoso calcio di rigore ferma la marcia dell’unica e ultima avversaria rimasta, almeno sulla carta, l’Atalanta del grande ex Gasperini. Certe notti, come quella che sta arrivando, le trascorri rivedendo il film di un’annata sportiva pazzesca: cinque mesi fa eri sull’orlo del baratro, appena cacciato dalla Champions. Oggi sei in Paradiso. E non finisce qui.